E' oramai assodato che tutto questo post progressismo abbia fatto precipitare l'umanita' in un tale stato di declino e di decadenza che contraddice vistosamente tutte le ottimistiche considerazioni sul progresso e su una quanto mai illusoria evoluzione del genere umano . Avevano ragione gli antichi che vedevano piuttosto nel progresso e nell'incalzare dei tempi una vera e proprio caduta di tutti i livelli di umanita', socialita' e anche civilta' . Il punto e' vedere da quando e come e' cominciiata questa irrefrenabile corsa verso l'abominio: Forse ha ragione Guenon che correlandosi agli Yuga indiani ovvero i cicli in cui tale cultura suddivide la storia umana, assegna gia’ una durata di 6000 anni all’ultimo ciclo quello che grosso modo corrisponderebbe all’eta’ dei Servi o del ferro , nominata anche da Esiodo nel suo Opere e Giorni? oppure e’ piu’ abbordabile Evola che fa capire che per lui l’ultimo ciclo quello appunto dei Servi forse non e’ ancora cominciato e ci troviamo nel momento attuale (per lui ancora il pieno del XX secolo) in una estrema manifestazione dell’Eta’ dei mercanti, ovvero quella eta’ del bronzo contrassegnata dal prevalere del fattore economico e dalla importanza centrale assunta dal denaro? (probabilmente se Evola fosse vissuto un altro cinquantennio e avesse potuto assistere a quello che e’ accaduto con il secondo decennio del XXI secolo – falsa pandemia, terrore sanitario generalizzato, bottegai e loro servi egemoni delle sorti del mondo – avrebbe senz’altro scandito l’inizio di tale ultima eta’, di totale decadenza e prevalenza del fattore servile, magari anche riprendendo la famosa equazione di Hegel del padrone e del servo come dialettica della storia. E' un argomento che ho piu' volte affrontato parlando si di Hegel, ma soprattutto dell'interpretazione che un pensatore russo Alexandre Kojeve' ha dato alla sua opera in particolare alla "fenomenologia della storia" prospettando una sorta di concetto di di «allineare le province», estendere cioè i principi dello Stato liberale o comunista che sia, questo perché l’obiettivo della lotta per il riconoscimento è raggiungere un equilibrio fra morte e vita. Equilibrio inquieto, che si realizza con la formazione delle due figure di signore e servo. Il primo è la coscienza disposta a rischiare la propria vita. Il secondo, avvinto dalla paura per la morte, cede la propria libertà, rifiuta di mettere a repentaglio la propria via, abbandona il proprio desiderio di desiderare, accetta di cedere al signore, riconoscendogli il titolo, o il diritto, di pretendere il soddisfacimento dei propri bisogni pur di riuscire a soddisfare minimamente i propri di bisogni. Detto altrimenti, allo stato nascente, l’uomo non è mai semplicemente uomo. Sempre, necessariamente ed essenzialmente, egli è o Signore o Servo. Se la realtà umana non può generarsi se non come realtà sociale, la società non è umana – almeno alla sua origine – se non a condizione di implicare un elemento di Signoria e un elemento di Servitù, esistenze “autonome” ed esistenze “dipendenti” Quest’equilibro inquieto che è la lotta per il riconoscimento è, secondo Kojève, il motore della storia. Il desiderio di poter desiderare e il desiderio di farsi desiderare innescano e contraddistinguono il rapporto sociale. Se non c’è desiderio non c’è azione; se non c’è azione non c’è rapporto sociale; senza scelte diverse e asimmetriche da parte delle due autocoscienze implicate non c’è conflitto. Questo conflitto è alla base della nascita della storia umana. Rinunciando a rischiare la propria vita, il servo vota la sua esistenza alle dipendenze di un signore perché accetta di accontentarsi del soddisfacimento dei propri bisogni primari; accetta di barattare, per così dire, la propria libertà con la propria sopravvivenza. Al contempo, il signore, per conservare la sua autonomia, non può uccidere l’esistenza che gli si è volontariamente asservita, ma facendo leva sulla paura della morte, induce e costringe il servo a lavorare. Il lavoro nasce perciò da un atto di violenza perpetrato dal signore sul servo e consente al primo di mantenere costantemente vivo il mezzo attraverso cui avviene il suo riconoscimento. Tuttavia – questo è il momento cruciale, che segna un punto a favore dell’interpretazione di Kojève – nel lavoro il servo non fa altro che agire sulla natura, trasformare l’oggetto naturale in un manufatto che gli consente di guadagnare l’appagamento dei propri bisogni primari, e di assicurargli quindi la vita animale. Trasformare la cosa naturale in prodotto di un lavoro significa però rendere umana la natura. Hegel afferma che la coscienza servile sopprime il suo attaccamento all’esistenza naturale in tutti i suoi elementi particolari e isolati, sino a eliminare mediante il lavoro quest’esistenza: e lavorando, il Servo diventa signore della Natura. Ora, egli è diventato il servo del Signore solo perché – all’inizio – era servo della Natura, visto che solidarizzava con essa e si subordinava alle sue leggi accettando l’istinto di conservazione. Liberando il Servo dalla Natura, il lavoro lo libera dunque anche da se stesso, dalla natura di Servo: lo libera dal Signore. Nel Mondo naturale, dato, bruto, il Servo è schiavo del Signore. Nel mondo tecnico, trasformato dal suo lavoro, egli regna – o, almeno, regnerà un giorno – da Signore assoluto. È questa Signoria che nasce dal lavoro, dalla trasformazione progressiva del mondo dato e dell’uomo dato in questo Mondo, sarà tutt’altra cosa dalla Signoria “immediata” del Signore. Dunque, l’avvenire e la Storia non appartengono al Signore guerriero (nella fattispecie del nostro ragionamento che segue questa suddivisione in varie eta' del mondo, non all'argento, ma al bronzo e in ultima analisi al ferro vanno assimilati gli ultimi secoli di non piu' evoluzione, ma vera e propria decadenza), il signore che fondava la sua stessa identita' sull'essere guerriero o muore o si mantiene indefinitamente nell’identità con se stesso, ma la palla del cammino (integrale) passa non solo al mercante bottegaio, ma al Servo lavoratore. Se l’angoscia della morte, incarnata per il Servo nella persona del Signore guerriero, è la condizione sine qua non del progresso storico, è unicamente il lavoro del Servo che lo realizza e lo perfeziona il motore di questa storia, non-storia Ma Hegel,a nostra opinione, era uno che non aveva capito nulla ne’ della storia, ne’ dello spirito, a cui pure spesso aveva dedicato il suoi scritti, e così tutti i suoi seguaci a cominciare da Marx; Evola al contrario e’ un filosofo vero, uno di quelli il cui pensiero scorre lontano e questo non solo in avanti, ma soprattutto indietro, e’ cioe’ un filosofo al “futuro anteriore” ovvero uno che non si accontenta del generico “sara' ” ma prima di formulare un qualsiasi piano per l’avvenire riesamina punto per punto tutta la tradizione le esperienze di uno “stato” ovvero un participio passato ove il tutto viene rivisitato come possibilita’. Non si tratta piu’ di trarre flussioni o derivate da un calcolo che si configura come infinitesimale con uso di numeri sia reali che immaginari, ma piuttosto di integrare queste in una prospettiva futura, comporre cioe’ un integrale, un integrale sui cammini, del tutto simile a quello ideato da Feynman nel 1948.Quindi se ora, lasciando Kojeve' e lasciando sopratutto Hegel e pensatori del tutto inconsistenti come Marx, Darwin, torniamo al nostro Evola e si ritorna giocoforza a questa prospettiva di alternativita' al mondo come lo abbiamo studiato, come lo abbiamo conosciuto e purtroppo come lo abbiamo vissuto, quando vogliamo utilizzare o meglio quando vogliamo cominciare a cambiare uno dei tanti possibili cammini e integrarlo in maniera del tutto differente , secondo le possibilita' di una sorta di "slinding doors"
sembra una modalità di coniugazione spazio/temporale laddove ci si muove tra futuro anteriore e calcolo infinitesimale ove limiti, derivate e integrali sono proiezioni di numeri negativi (ovvero numeri immaginari)
giovedì 28 dicembre 2023
giovedì 21 dicembre 2023
IL SIMBOLICO DI FUNZIONE D'ONDA E SUPER ES
La funzione d'onda potrebbe anche avere un compito inusitato : nel suo collasso comporre diverse realta' in contemporanea . Per farlo ci sara' bisogno di alcune premesse, diciamo così, metodologiche. La Funzione d’onda è un numero complesso, ovvero caratterizzato da una parte reale e da una parte immaginaria con la peculiarità quest’ultima di essere restituita alla sua parte reale previa moltiplicazione per il suo coniugato ovvero il numero negativo cambiato di segno, che però perde la sua implicazione razionale, assorbendo anche l’irrazionale e quindi andando a comprendere il simbolico che come hanno osservato parecchi filosofi e psicoanalisti (Freud, Lacan, ma con più precisa formulazione Mattè Blanco) è la modalità di funzionamento dell’inconscio o Es, come forse più correttamente dovremmo denominarlo (alla Groddeck) . Va notato difatti che questo allargamento al simbolico dei numeri complessi consente di interpretare le funzioni d’onda al massimo come le intendeva Heisenberg ovvero “tendenze” a trovare il sistema di riferimento in una certa posizione ad un dato istante; ma ecco che sorge subito il problema che tali funzioni d’onda in quanto esperienze senzienti non possono essere valutate perchè le tendenze così riflesse nella coniugazione di un negativo con un positivo sono equiparate al reale, ma un reale che accoglie nella sua accezione non più solo il razionale ma anche l’irrazionale, per cui con buona pace di Hegel, la realtà partecipa, deve partecipare, di quell’irrazionale che va comporre il simbolico.Dobbiamo a questo punto pervenire all’ipotesi davvero geniale cui è pervenuto Hakwing : la funzione d’onda di un grande oggetto come un pianeta e persino dell’intero universo può essere paragonata alla funzione d’onda o tendenza riflessa di un qualcosa di abbastanza familiare : un gruppo in una città; ecco dato che siamo in questo periodo in cui ciò tende ad avvenire frequentemente stante la situazione distopica che impone a gente ancora dotata di intelletto e ragione di radunarsi per protestare e manifestare il proprio dissenso a tutte le imposizioni liberticide e di terrorismo mediatico sanitario di una sorta di individui che fanno leva sulle più ancestrali paure dell’umanità – terrore della malattia, senso di conformismo e uniformità di massa, dipendenza dai cosidetti media che oramai stravolgono impunemente qualsiasi informazione – Il gruppo che andiamo a prendere in esame è giustappunto quello, molto determinato e molto attuale, di tali persone che, potremmo anche immaginare che tendono a radunarsi in un dato punto della città a forte impatto emozionale, ecco ad esempio a Roma Piazza del Popolo, piazza della Bocca della Verità, a Parigi Place de la Concorde, a Vienna la Hofburg, a Londra Trafalgar Square, per diffondere con maggiore forza le loro intenzioni ….la funzione d’onda è questa tendenza a trovarsi in un dato punto in un dato tempo, analogamente la funzione d’onda per un insieme di pianeti è la tendenza a raggrupparsi in una certa zona dell’Universo che potrebbe avere anche essa una determinata caratteristica di opportunità: la descrizione della tendenza a trovarsi in un certo posto e in un certo istante è appunto la funzione d’onda che altro non è che la tendenza di una certa circostanza a verificarsi , quando viene coniugata con la riflessione del segno cambiato (quindi una simmetria) che ci dice dove è più probabile trovare le proprietà consensuali di un oggetto, di una persona, di un elettrone, di una particella, di un pianeta, di una folla, e alla fin fine dell’intero universo. Ecco è proprio su questo ultimo passaggio che Stephen Hawking ha compiuto il suo vero “balzo” intellettuale, ha sostituendo l’entità più piccola – la particella o anche il flusso con quella più vasta: l’Universo intero. Invece di pensare ad una particella o ad un flusso la cui funzione si estende ovunque , ha pensato ad un Universo dove la funzione d’onda è dappertutto. Il ragionamento si presta quindi a dilatarsi ulteriormente andando a comprendere non più un solo Universo , ma una pluralità di Universi, tutti con un loro inizio e quindi una loro origine; se a questo punto ci disponiamo, facendo leva su di una buona dose di fantasia e quindi di quel connubio tra razionale, irrazionale, ed anche scorrendo i ben noti registri del reale, dell'immaginario e del simbolico, ecco che possiamo pervenire ad un racconto di volta in volta diverso, dove tutti i cammini che si possono scegliere portano ognuno ad un integrale ben calcolato sotto un aspetto davvero infinitesimale, perche' coniugandosi con il possibile, l'infinito diventa davvero una sorta di possibilita' di racconti sempre cangianti . Lo abbiamo fatto con lo spazio , immaginando persone che si radunano in un dato posto per manifestare contro certe imposizioni, possiamo farlo anche con il racconto della storia immaginando di cambiare alcuni eventi base si da percorrere differenti cammini e quindi comporre diversi integrali, per una sorta di simmetria tra tutti i cammini molto simile a quella dei multiuniversi delle ipotesi di Hawking e degli altri fisici che si sono occupati di tale eventualita' . A livello microscopico, la materia appare composta da particelle, come abbiamo visto con l’esperimento della Doppia Fenditura diventano onde , che in realtà risultano aggregati di cariche energetiche. Ad una dimensione di analisi crescente, queste particelle si presentano composte da energia e quindi il costituente primo della materia si può ipotizzare come stringhe di energia che vibrano ad una determinata frequenza o lunghezza d’onda caratteristica. Gli infiniti universi paralleli potrebbero coesistere nello stesso continuum di dimensioni, vibrando a frequenze differenti. Il numero di dimensioni necessarie è indipendente dal numero di universi, ed è quello richiesto per definire una stringa (al momento 11 dimensioni). Questi universi potrebbero estendersi da un minimo di 4 a tutte le dimensioni in cui è definibile una stringa. Se occupano 4 dimensioni, queste sono il continuo spazio-temporale: nel nostro spazio-tempo, coesisterebbero un numero infinito o meno di universi paralleli di stringhe, che vibrano entro un range di lunghezze d'onda/frequenze caratteristico per ogni universo. Coesistendo nelle stesse nostre 4 dimensioni, tali universi sarebbero soggetti a leggi con significato fisico analogo a quelle del nostro universo. La novità di questa teoria è che gli infiniti universi non vivono in , e non necessita di postulare l'esistenza di più di 4 dimensioni di spazio-tempo. Ciò che consente di definire una pluralità di universi indipendenti non è un gruppo di 4 o più dimensioni per ogni universo, ma l'intervallo di lunghezze d'onda caratteristico. L'intervallo teorico di frequenze/lunghezze d'onda per le vibrazioni di una stringa determina anche il numero finito/infinito di universi paralleli definibili - ovviamente sulla base di questi studi più o meno fantastici ma con un sostrato di plausibilità dovuto alla lusinga di calcoli matematici trasferiti nella categoria dell’immaginario/simbolico dovuto alla coniugazione di numeri complessi ecco che ciascuno di noi può immettere nel calcolo infinitesimale serissimo ed accreditato da quel pop o di scienziati e filosofi, le proprie fantasie che sono della stessa materia dei sogni ovvero quell’equivalente di materia oscura che compone il simbolico e quindi il funzionamento dell’inconscio o ES, suscettibile anche questi di appropriarsi dell’epiteto di Super. Le indicazioni di simili esperienze sono molteplici e costellano tutta la storia della letteratura e della creazione artistica: dalla poesia alla prosa, alla pittura, alla scultura, all’architettura e con forse maggiore frequenza nell’ultima delle arti la settima ovvero il cinema. Quanti film abbiamo visto con la trama del cambiamento alternativo, del salto di stato: Frank Capra, Ernest Lubitsh, Billy Wilder, Ingmar Bergman, Louis Bunuel? Uno degli ultimi che si è impresso nell’immaginario con una certa forza anche per il particolare fascino della protagonista Gaynor Paltrow, è “Slinding doors” , dove un quotidiano banalissimo evento determina due differenti destini della stessa persona che viaggiano appunto su due universi paralleli, ma su contesti di cui uno è alternativo all’altro proprio in virtù di quell’evento banale. Quanti eventi più o meno banali abbiamo riconsiderato nella nostra vita “ah se non avessi fatto questo, ma invece quello? Oppure il canonico “non ti avessi mai incontrato! La mia vita sarebbe stata tutt’altra cosa!” Abbiamo detto che le fantasie, così come tutti i processi creativi artistici e letterari sono della stessa materia dei sogni e in passato abbiamo ipotizzato che un sogno da svegli guidato alla maniera di Desoille, magari riveduto e corretto, potrebbe essere equiparato al collasso dell’equazione d’onda così come supposto da Schrodinger e portare ad un nuovo integrale sui cammini di Feynman, quindi pervenire a qualche cosa di inusitato che merita ovviamente l’epiteto di “Super” proprio in considerazione di un inconscio (Es) che si nutre del simbolico dei sogni, con la simmetria che guida il suo funzionamento, laddove tutto diviene super, anche le stringhe che si compongono di quell’energia vibrante che potrebbe dare origine al tutto.
mercoledì 13 dicembre 2023
BOTTEGAI E TURBOCAPITALISMO
Come possiamo definire tutto il disgusto per i tempi moderni? Forse con il termine di globalizzazione che e' una vistosa imposizione aggressiva dell'ideologia liberale di estrazione "bottegaia" ....non mi stanchero' di utilizzare questa parola "bottegaia" che e' espressione della mentalita' mercantile di stampo anglosassone e ha trovato la sua inverazione piu' assoluta nell'iperconsumismo americano, che ha assunto oramai la dicitura di turbocapitalismo. Gli americani non si sono limitati a raccogliere il testimone della bottegaia Inghilterra che per piu’ di tre secoli aveva spadroneggiato per il mondo forte dei suoi commerci e del suo motore : il denaro - hanno con il loro avvento, dopo la seconda guerra mondiale, al vertice del potere mercantile, commerciale, e tecnologico, affinato metodi e modalita’, sviluppando la cosidetta “guerra della rete” ovvero una guerra condotta non solo in termini di mercato e di valore di scambio, ma di una informazione globale , basata su di uno spregiudicato uso giustappunto della nuova rete informatica globalizzata e della risonanza dei cosidetti “media”, e cioe’ giornalismo, televisione, pubblicita’, social e computer, tutti aggiogati al carro dell’iperconsumismo del neo-liberismo, ( o probabilmente piu’ attinente la definizione Duginiana di post-liberismo). Contro questo post-liberismo di oramai gretta individuazione statunitense che si e’ imposto come comun denominatore di tutto il mondo occidentale, qualificandosi come iper modernismo,si erge l'uomo differenziato nella tradizione. Ecco perche’ ogni possibile conservatorismo da parte di una sia pure esigua minoranza dovra’ sempre estrinsecarsi in un perentorio “NO !” al modernismo, e dovra’ sempre riferisi ad una tradizione, anche se non espressamente manifesta nel contesto della realta’ circostante. Si riconosce subito quell’individualismo differenziato espresso dal grande e ovviamente ostracizzato dalla cultura modernista vigente, filosofo Julius Evola in special modo nel suo saggio “Cavalcare la tigre” ovvero una sorta di manifesto di un “tradizionalista senza tradizione “. E’ questo tradizionalismo l’unico atteggiamento perseguibile appunto dall'uomo che non si riconosce in nessun aspetto del post modernismo. ma cio’ nonostante si affida al piu’ totale e assoluto rifiuto di qualsivoglia parametro della Societa’ attuale, che dopo aver esaurito il moderno gia’ da mezzo secolo a questa parte e’ oramai in quella fase di post modernismo che non esprime null’altro che negativita’ e nefandezza. La parola d’ordine di tale atteggiamento, che ha i suoi araldi in pochi personaggi di cultura e spessore: Evola in prima istanza, ma anche Guenon, Eliade, Cioran, Drieu de la Rochelle, Ezra Pound, Heidegger, Schmitt, Jungher. Spengler in una qualche maniera Freud, Jung, Pauli, Heisenberg, Schrodinger e piu’ recentemente, Matte’ Blanco, De Benoist, Freund, Dugin, persino i nostri Agamben e Cacciari: “IL MODERNO E’ IL MALE, IL POST-MODERNO E’ IL PEGGIO". Ribadiamo che l’uomo differenziato di Evola ovvero il tradizionalista senza tradizione, deve trovare all’interno di se (in-sistere) i motivi piu genuini per opporsi con tutte le sue forze al mondo di oggi post-moderno che propugna solo motivi di interesse e profitti (ex-sistere) , in sostanza deve fare una sorta di calcolo infinitesimale del tutto simile a quello che fece Leibniz rispetto a Newton , tradizionalmente indicati come i due ideatori di tale procedimento matematico: preferenziare quella “vis viva” interna indicata dal primo in opposizione al secondo che la ricercava invece all’esterno nelle leggi e cose del mondo, e farlo assumendo numeri del campo reale ma con connotazione negativa, identificandoli con mancanze, debiti, interruzioni, distruzioni e facendoli tornare positivi ma con connotati immaginari, tramite proiezioni per stabilire quindi un nuovo registro, giustappunto quello dell’immaginario dove possono rientrare le nuove interpretazioni di un mondo che non sia quello che ci si presenta oggi con caratteri di quasi esclusivita’ e che e’ stato recentemente in grado di imporre un vero e proprio fermo alla ragione, alla liberta’, ad una umanita’ che non si e’ ancora fatta irretire dalla paura e che appunto deve trovare la sua “proiezione immaginaria” per uscire dal tunnel della post modernita’ che non solo ha dimenticato la tradizione (compito eseguito questo gia’ dal moderno) ma la vuole del tutto annichilire in nome di una feticizzazione estrema del movente economico per una debacle di ogni traccia di umanita’ e l’affidamento assoluto ad un nichilismo fatto di merci, di mercato, di denaro e della loro proiezione sotto veste virtuale ed informatica (paradossalmente un netto processo inverso di quello che deve fare l’uomo che si differenzia nella tradizione). Sotto il profilo meno individuale, ma piu' collettivo, si potrebbe fare proprio la controversa ed anche abbastanza navigata teoria dell'unione eurosiatica rivisitata e elaborata recentemente da Aleksander Dugin in ispecie nei suoi due saggi
La quarta teoria politica e La teoria del Mondo multipolare, di cui ho gia' parlato e di cui conto di parlare in maniera sempre piu' approfondita, perche' dismettendo quella "ubris" che fino a pochissimo tempo fa , prima che questa distopia recente , mi svegliasse dal mio sonno dogmatico a proposito dell'occidente, (risibile no? una pandemia equiparata a Hume!) vado anche io alla ricerca di una nuova direzione in cui incanalare il mio desiderio di liberta' , di giustizia, di vera umanita' e magari scoprire un nuovo Eldorado non fatto di oro come equiparazione di beni materiali, ma di quel vero purissimo oro di cui erano intessuti i tempi che nessuno e' mai riuscito a raccontare, se non come Mito, un Mito dell'eterno ritorno a cui tutto sommato un tradizionalista senza tradizione, scandita da precise metafore, deve sempre tendere: una Eta' dell'Oro per una tradizione che la coscienza umana non e' ancora riuscita a condensare, e che puo' solo intenderne un senso trascinando il suo significante che e' sempre altrove, sempre un tantino piu' in la' o un pochino piu' in qua, perche non e' una metafora : e' una metonimia e a parlare non sono piu' gli uomini, ma gli dei o perlomeno l'idea che di tali dei, se ne e' costruita la mente umana. Tre sono i principi di questa, diversa e nel contempo antica, visione politica, che potrebbe davvero rappresentare l'oro sociale e politico di un diverso Eldorado: il primo e' ovviamente costruire questo nuovo mondo dove ci sia l'accettazione di tutti i punti di vista delle diverse civilta' mondiali e non preferenziarne una a scapito delle altre, così come ha fatto la odiosa mentalita' bottegaia inglese, e hanno ulteriormente accentuato gli iper consumisti Stati Uniti con l'avallo di una iper tecnologia. Tra le varie civilta' mondiali una particolare rilevanza assume lo spazio post sovietico che costituisce il nerbo di una futura unione euroasiatica e questo rappresenta il secondo principio, cui ovviamaente Dugin assegna una rilevanza speciale, ma a cui le forze migliori di una certa Europa (di certo non quella della UE) ammaestrati dal totale fallimento della cosidetta civilta' europea ( perlomeno dal seicento in poi, nei primi forti contrasti con la potenza di mare dell'Inghilterra fino alla sconfitta definitiva con la seconda guerra mondiale e l'avvento della forza economica degli USA che sono subentrati agli inglesi) debbono anche dare un loro spassionato apporto. Il terzo principio e' quello appunto di una transizione dal modello liberal/democratico espressione dell'Inghilterra prima e degli USA poi, con l'ausilio di una iper tecnologia di tipo virtuale (informatico/digitale) ad un modello altro che sia anzitutto espressione di multipolarita' e quindi di varie aree di civilta' di cui trainante quella euroasiatica. Ovvio e naturale che l'atteggiamento degli USA e dei suoi alleati (la vecchia Inghilterra, ma anche l'intera coalizione della UE, che non ha piu' nel suo seno le fiere opposizioni degli antichi imperi teutonici e meitteleuropei, ma ha adottato in pieno le valenze e i valori degli oramai ipertecnologici bottegai) sono di ferocissima avversione verso le idee contenute nella concezione multipolare ed anche euroasiatica - la sua stessa proposizione difatti contrasta platealmente con tutta la strategia USA e company che punta invece ad un mondo unipolare. Concezione di multipolarita' e teoria Eurosiatica significa dunque perseguire una quarta teoria politica (dopo le tre del Liberismo, del Comunismo e del Fascismo) significa dunque rifiutare l'egemonia americana e tutta la sua carica eminentemente bottegaia, ereditata dall'Inghilterra e suffragata da uno sconsiderato avallo di tutta la teoria informatico/digitale. Una nuova teoria di multipolarita' politica e la concezione di un eurosiatismo che sia di piu' pronunciata alternativa al modello unico rappresentato dagli USA , rappresenta solo l'ultimo nemico della atavica mentalita' mercantile che ha preso possesso del mondo occidentale con l'occasione di una presunta grande pandemia (quella del 1348) e che ha recentemente tentato , nuovamente con un'altra grande presunta pandemia (2020), di portare alle conseguenze estreme il programma di asservimento della totalita' dell'umanita' , a beneficio di una ristrettissima elite fondata sul denaro e sulla servile complicita' di scienza, tecnica e persino cultura.
lunedì 11 dicembre 2023
C'ERA UNA VOLTA IL CAPPELLO E LA PENNA
E’ nel contesto di dopo la cosidetta terza guerra di Indipendenza del 1866 che aveva visto una nostra non esaltante prova militare (la prima del nuovo Regno) sconfitti per terra (Custoza) e per mare (Lissa) ma che grazie alla vittoria dell'esercito Prussiano su quello austriaco a Sadowa, ci aveva portato all'annessione del Veneto, che nel 1872 il capitano Giuseppe Perrucchetti propose la costituzione di un nuovo corpo militare con peculiarità assai specifiche, quello della difesa dei valichi alpini, fidando sulla appassionata benevolenza di un politico come Quintino Sella allora Capo del Governo che era un appassionato montanaro, tra i fondatori del Club Alpino (il Cai) e del Ministro della Guerra il Gen. Cesare Ricotti Magnani anche lui appassionato montanaro: fu proprio quest’ultimo che avendo particolarmente apprezzato un articolo del capitano Perrucchetti sulla Rivista Militare in merito alla costituzione di reparti addetti alla difesa alpina, trovò l’escamotage per la costituzione del nuovo corpo, predisponendo la costituzione di 15 compagnie di soldati a reclutamento regionale presso i 10 corpi d’armata in cui era suddiviso il territorio nazionale, con compiti mascherati da militari distrettuali, per ovviare alle opposizioni che sarebbero certamente arrivate se fosse stato proposto chiaramente l’istituzione di un nuovo Corpo militare, in un periodo di forti ristrettezze economiche e dove appunto per bocca dello steso Capo del Governo le tali economie dove essere “fino all’osso” La caratteristica principale del nuovo Corpo che in prima istanza si doveva contentare di sole 15 compagnie, era appunto il tipo di reclutamento, non nazionale, ma regionale, anzi addirittura locale, perché, e su questo punto il Perrucchetti era stato chiaro, la cosa più importante per un impiego tempestivo a livello di difesa montana doveva essere la velocissima mobilitazione dei complementi, quasi con il fucile da portare a casa, come faceva l’esercito svizzero. Nascevano così gli alpini nell’ottobre del 1872 con un Regio Decreto di Vittorio Emanuele II in data 15 ottobre 1872 , abbiamo detto, quasi di soppiatto: 15 sperimentali compagnie che però pochissimi anni dopo nel 1878, con il nuovo Re Umberto I venivano portate a 36 inquadrate in 10 battaglioni che assumevano la denominazione dei luoghi di reclutamento. In quanto all’uniforme era del tutto identica a quella della fanteria, con l’adozione del colore verde come sorta di distintivo, qualcuno dice per il verde delle montagne, ma le montagne specie ai confini sono per lo più ammantate di neve e quindi a rigore il colore avrebbe dovuto essere il bianco, però, e forse qualche dotto studioso era andato a ritrovare che ai tempi di Augusto esisteva una “Legio” , detta dal nome della famiglia dell’Imperatore Augusto: Julia, con peculiarità di difesa montana che adottava il verde come colore distintivo. E verde sia, per le bande dei pantaloni, per le filettature della giubba ed infine anche per le mostre nel 1883 in correlazione con il nuovo simbolo dello stesso Esercito italiano: le stellette. Gli ufficiali continuavano a portare il kepì con le strisce argentee del grado e i Generali la Greca su fondo rosso, ma i soldati, ecco i soldati non ne vollero quasi subito sapere del banale kepì; volevano distinguersi anche e soprattutto nel copricapo da quella che proprio allora cominciavano a chiamare “la buffa” ovvero la fanteria. Cento penne ha il bersagliere” diceva una delle prime canzoni degli alpini “ma l’alpin ne ha una sola, penna d’aquila, penna nera….” bhe magari proprio all’inizio la penna non fu d’aquila, ma di corvo e comunque la sua origine di adottarla come corredo necessario e imprescindibile del cappello, dato che si voleva enfatizzare la costituzione del nuovo corpo militare, il primo del nuovo Regno d’Italia con un richiamo a qualcosa del Risorgimento, fu scelto il copricapo del protagonista dell’Opera Ernani di Verdi, che aveva giustappunto una bella penna sul lato, così come enfatizzato dal famoso quadro “Il bacio” di Hayez, anche se il cappello ivi ritratto somiglia più a quello che fu scelto una quarantina di anni dopo piuttosto che quello detto “alla calabrese” in feltro nero a tronco di cono con la tese rialzate,che fu adottato come copricapo delle nuove truppe, per motivi anche essi legati al Risorgimento, dato che nel 1848 era stato addirittura proibito in un’ordinanza della Polizia di Milano per il suo carattere sovversivo, cui i patrioti solevano mettere, proprio dal lato sinistro della tesa rialzata, piume, pennacchi, penne appunto, per aumentare lo sbeffeggiamento delle autorità. Come fregio fu dapprima disposta una stella a cinque punte , ma ben presto una quanto mai fastosa aquila ad ali a metà tra spiegate e abbassate, con croce sabauda e cornetta e fucili incrociati. Dieci anni dopo la loro costituzione nel 1882, furono istituiti i primi sei reggimenti alpini, di cui uno dei comandanti fu il futuro Generale e Capo del Governo, all’epoca Colonnello Luigi Pelloux. Oramai gli alpini erano entrati nell’oleografia militare dell’epoca, ne parla De Amicis nel libro “Cuore” e fece scalpore una marcia attraverso i monti dell’allora Capitano Davide Menini con la sua compagnia per rendere puntuali omaggi alla Regina Margherita nel 1881.Proprio questo ufficiale Davide Menini, divenuto Tenente Colonnello doveva caratterizzare il battesimo del fuoco del Corpo, non tra le montagne o le valli alla cui difesa gli alpini erano stati predisposti, ma tra le ende, gli acrocori i tondeggianti colli e gli sterminati valloni etiopici, giù in terra d’Africa. Era difatti stato nominato Comandante del primo battaglione alpino d’africa, un organico di circa 1000 uomini con 20 ufficiali. Gia’ in precedenza degli alpini erano stati inviati in Africa, ad esempio il famoso Galliano, distintosi in più occasioni e divenuto leggendario nella difesa del forte di Makallè, era un ufficiale proveniente dagli alpini, ma era la prima volta in quell’inverno del 1895, che un intero battaglione tutto di alpini veniva impiegato in operazioni belliche. Anche in Africa gli alpini non avevano rinunciato alla loro penna e l’avevano applicata sul casco coloniale, che era ricoperto di panno colore bianco, ingiallito, come d’altronde le uniformi coloniali, in bagni di foglie di tè. Battesimo del fuoco quanto mai tragico in quanto il battaglione che era stato inquadrato nella Brigata di Riserva del Gen. Ellena, tentò di tamponare la avanzata abissina nell’infausta battaglia di Adua, presidiando il Colle Rajo e opponendo una strenua resistenza che costò la vita a oltre 400 alpini, ivi compreso il suo comandante e a numerosi ufficiali tra cui uno dei comandanti di compagnia, il capitano Pietro Cella, che fu la prima medaglia d’oro al valor militare, ovviamente alla memoria, della storia del Corpo. Perché gli alpini abbiano nuovamente a che fare con battaglie si dovrà attendere una quindicina di anni e nuovamente in Africa, non in Etiopia, ma in Libia e Cirenaica, ma in questi 15 anni molte cose erano cambiate: anzitutto le uniformi, non più turchine o blu per gli ufficiali con gradi a fiore sulle maniche, ma grigioverdi e anche il cappello si era modificato, non più alla calabrese, ma sul tipo di quello usato tra i montanari, con le falde assai più larghe, grigioverde anche questo, di panno e floscio con la penna che i veci portavano in genere molto lunga a “bilanci’arm” come si diceva in gergo. A rigore anche gli ufficiali potevano utilizzare lo stesso cappello con penna nera d’aquila fino al grado di Capitano, bianca d’oca da Maggiore in su, ma per la verità preferivano il berretto a tuba, che era un chepì assai più rialzato, sempre con i gradi a fettucce, lasagne e greca tutt’attorno, aboliti i gradi sulle maniche “ a fiore” si portavano ora sulle controspalline a stellette, una due e tre fino a capitano, mentre gli ufficiali superiori portavano la controspallina bordata, sempre con le stellette e i Generali interamente bianco argenteo dove solo il Re arrivava a tre stelle in quanto Generale d’esercito, mentre anche il Capo di Stato Maggiore e i comandanti di Corpi d’Armata e poi d’Armata arrivavano solo a due che contrassegnava il grado di Tenente Generale, dove il ruolo di Superiore Comando era dato da una corona dorata e bordata di rosso situata tra le due stelle. Una evoluzione che era cominciata proprio dagli alpini nel 1906 con il cosidetto “plotone grigio”; la risonanza dei terribili massacri della guerra Russo Giapponese avevano difatti sollevato la questione della mimetizzazione e del colore troppo vistose delle nostre uniformi. Non era un problema solo nostro, i francesi iniziarono la grande guerra con i famosi “pantalons rouges” che erano una pacchia per le mitragliatrici tedesche, e anche le altre nazioni europee non erano da meno in quanto a rutilare di colori. Fu un borghese certo Luigi Brioschi, presidente della sezione milanese del Cai, che perorò con fervore la causa dell’adozione di un colore più mimetico per le truppe , riuscendo a portare dalla sua parecchi ufficiali tra cui il Tenente Colonnello Donato Etna che era il comandante del battaglione alpino Morbegno, che a sua volta riuscì a farsi autorizzare a eseguire una sperimentazione di un plotone vestito con la nuova uniforme mimetizzata che venne “provata” al poligono di tiro in relazione a quella ordinaria. La divisa non era ancora il grigio verde che verrà però adottato di li’ a poco, ma aveva una tinta più color creta, con giacca chiusa bottoni coperti e colletto rivoltato, pantaloni sbuffati con calzettoni o le celebri e famigerate fasce mollettiere che costituiranno la disperazione di tutte le leve a venire fino alla seconda guerra mondiale. L’esperimento suffragò le tesi di Brioschi che nel suo fervore era andato anche a scomodare Dante Alighieri perché nel suo inferno aveva fatto assumere a dei dannati che dovevano perdersi nel panorama, lo stesso colore delle rocce; ad una distanza stabilita difatti il manichino con indosso la vecchia uniforme veniva centrato 8 volte da tiratori scelti del plotone, mentre quello con la nuova uniforme una volta sola. Le sagome erano state disposte in vari modi, a terra, in ginocchio e in piedi, inoltre dopo 500 metri, mentre la vecchia uniforme soprattutto in piedi era ancora perfettamente individuabile, quella grigia si confondeva col terreno e in piedi era stata colpita solo tre volte contro le 24 di quella turchina. Ovvio e naturale che di lì a poco, l’esempio di quel cosidetto “plotone grigio” fu seguito per tutto l’Esercito, influenzando tutti gli eserciti del mondo che presero spunto dal modello italiano. In Libia dunque l’esercito si presentava nella nuova tenuta, certo qualche ufficiale adottava ancora la vecchia uniforme , molto più marziale e oggettivamente assai più bella , ma oramai erano una minoranza e anche i Generali indossavano il grigio-verde, che alla fine era stato giudicato il colore mimetico più adatto al tipo di terreno italiano. Coll’inizio della guerra con la Turchia, gli alpini vennero inviati un pò alla spicciolata, ma l’anno seguente si fecero le cose più in grande, non più compagnie o battaglioni, ma un intero reggimento: l’8° posto agli ordini di un Colonnello che diverrà una leggenda Antonio Cantore, e questa volta non ci sono disfatte, anzi l’8° rgt° alpini si era distinto in numerose occasioni e il suo irruento comandante anche se costantemente tenuto a bada dal Gen.Tommaso Salsa comandante della Divisione che era uno dei migliori ufficiali dell’Esercito, già Ispettore delle Truppe alpine, si guadagnerà la promozione a Maggior Generale alla fine della campagna. Un’altra medaglia d’oro per un un alpino, e questa volta non alla memoria, il tenente Giovanni Esposito, che ritroveremo in Grecia nel 1941 Comandante della Divisione Pusteria e un fatto passato alla leggenda e ratificato in un monumento che ancora oggi è presente in Milano e in copia anche a Merano, quello di un mastodontico alpino Antonio Valsecchi che durante un assalto alle difese avanzate di Derna in un Ridottino denominato Lombardia, esaurite le munizioni sollevò un grande masso scagliandolo contro gli assalitori, presto imitato dai suoi commilitoni che riuscirono a respingere e mettere in fuga il nemico. Gli alpini nella prima guerra mondiale sono oramai troppo inseriti nello immaginario collettivo di quella guerra, per aggiungere qualcosa. Solo alcune precisazioni: anzitutto quella del Gen. Cantore che dopo appena pochi mesi di ritorno dalla Libia, si trovò Cte di Brigata in Trentino e subito diede un diverso impulso alle direttive rigorosamente difensive affidate alla 1^ Armata dal Gen.Cadorna: conquista di Loppio, Mori e soprattutto della importante cittadina di Ala; tanto era bastato per il famoso “promoveatur ut moveatur” ovvero nomina a Cte di Divisione e trasferimento in Cadore all’8^ Armata , ma anche qui, il lupo perde il pelo, ma non il vizio: la sua fissa era la cima del Castelletto e dilagare per la Val Travenzes, così non passava giorno che non facesse ispezioni, controlli di postazioni e soprattutto non cessasse di guardare lontano col suo cannocchiale, oltre i Monti, l’Antelao, le Tofane, le vallate, alla ricerca di un varco dove far avanzare gli uomini della sua Divisione. Un po’ troppo, forse soprattutto per i suoi sottoposti, costretti a tenere il passo di quella specie di invasato. Il cecchino che si dice lo abbia centrato in piena fronte quel giorno del 20 luglio alla Forcella Negra dellaTofana di Rozes, non e' mai stato identificato e fin dall’inizio le perplessità su quella strana pallottola di cui ancora è conservato il berretto con il foro sulla visiera, ha sollevato non pochi dubbi. Cantore era un ufficiale espertissimo e se si esponeva così platealmente oltre le trincee è perché sapeva bene che i cecchini in quel punto erano fuori tiro, tant’è che prima del colpo fatale, ci fu un colpo che arrivo’ oramai innocuo a 20 metri dalla posizione del Generale, ma se i cecchini in quel punto erano fuori tiro non altrettanto si poteva dire dei numerosi costoloni a ridosso della trincea , posti a pochi metri e saldamente in mano italiana: da lì sarebbe stato uno scherzo per chicchessia centrare in piena testa il Generale, e neppure servendosi di un fucile, ma di una semplice Beretta o Glisenti, le pistole in dotazione agli ufficiali italiani. Ci fu anche un indagine pochi giorni dopo il fatto con tanto di venuta di un ufficiale dei carabinieri, ma fu conclusa in tutta fretta, appena dopo il funerale del Generale a Cortina, dove specie gli ufficiali superiori erano in preda ad una curiosa euforia e come disse un testimone oculare, l’unica nota di tristezza della cerimonia era il cavallo bianco del Generale tutto bardato, ma senza cavaliere. La voce che Cantore potesse essere stato ucciso da “fuoco amico” e con piena intenzione specie da qualche immediato sottoposto che era stato particolarmente vessato dalla severità del Generale (pare che pochi giorni prima incrociando un ufficiale gli avesse fatto una tale ramanzina da costringerlo alle lacrime!) fu subito molto diffusa e la inchiesta si era conclusa troppo rapidamente per non dare adito a dicerie di sorta, dicerie che sostanzialmente non giovavano a nessuno e che quindi furono presto bandite con la concessione della medaglia d’oro al valor militare alla memoria, e l’annovero della figura del Generale nell’Olimpo degli Eroi. A tingere di giallo il mistero, contribuì anche il fatto della immediata scomparsa del berretto del Generale, quello con il foro della pallottola sulla visiera, da cui si sarebbe potuto stabilire il calibro, un pò quello che doveva succedere per John Fitzgerald Kennedy, di cui scomparve addirittura il cervello da cui si sarebbero potuto fare delle congetture sulla provenienza dei colpi mortali. In verità il berretto lo aveva prelevato prima dell’inumazione della salma, un nipote che lo aveva conservato per decenni, ignaro delle ipotesi sulle uccisioni del nonno, e quando finalmente nel secondo dopoguerra lo consegnò alle Autorità per effettuare le indagini si stabili’ che era impossibile valutare, dato il tempo passato, se il foro sulla visiera che era di cuoio e quindi si era deformato, potesse essere provocato da un arma austriaca o italiana. Una cosa è certa di Cantore si è detto che era severissimo e brutale, esigentissimo, ma soprattutto vero i suoi immediati sottoposti, ufficiali superiori e difficilmente inferiori al grado di capitano; con i soldati anzi era di una certa bonarietà tant’è che loro, i semplici alpini, lo elessero ad una sorta di novello San Pietro , custode di un particolare paradiso quello delle “penne mozze” ovvero di tutti gli alpini caduti in battaglia. E questo non è a parere di chi scrive un cosa che gli alpini, i semplici alpini , concedano tanto facilmente, è molto molto di più di una, cento medaglie d’oro , è cosa che va oltre tutte le citazioni, i bollettini di guerra, è un qualcosa che va anche oltre ogni retorica . Questi erano i Generali di quando gli alpini erano gli alpini, poi sono venuti altri tempi in cui i Generali non si aggirano piu' nelle trincee a fronte del nemico, non saltano sulle camionette per incitare i loro uomini a rompere l'accerchiamento del nemico, come Luigi Reverberi cte della Tridentina a Nickolayewka, ma comandano eroiche spedizioni contro inermi cittadini che non vogliono indossare museruole o non vogliono farsi iniettare sieri o vaccini per compiacere le lobbies farmaceutiche. Se questi sono gli eredi dei generali che erano i guardiani del Paradiso delle "penne mozze" , oggi non ci sono piu' penne ne' nere, ne' bianche ne' tronche e il Paradiso e' diventato il piu' sordidodegli inferni perche' e' stato messo in vendita, alla merce' dei bottegai, servi o padroni che siano, infima gentina che non ha mai avuto valori da scambiare, ma solo un unico, squallido, infame valore di scambio, e il coraggio che un tempo era il distinguo del cappello con la penna si e' trasformato nella paura di una paura inesistente, che si cerca di diffondere
Iscriviti a:
Commenti (Atom)
IL CAPOVOLGIMENTO DEL FUTURO ANTERIORE
il Wall Street Journal ha riportato un rapporto del governo Usa dove si afferma che "GLI STATI UNITI STANNO CAPOVOLGENDO LA STORIA, ...
-
Cominciano gli esami e io mi ritrovo per via delle mie recenti conoscenze psicoanalitiche in grande vantaggio mostrando un vero e proprio t...
-
L'Europa non conta nulla! in ispecie questa farlocca e inconsistente Unione europea conta meno del due a briscola: per risolvere i nos...
-
In questa estrema vecchiezza (77 anni compiuti il 9 giugno di questo intenso 2025) faccio sogni davvero favolosi, ma inevitabilmente al ma...

















