La figura dello spaventato del presepio, è un qualcosa che sta inscritta nei ricordi più antichi della mia vita: era una espressione che subito evocava una certa immagine tra il sorpreso, l'attonito e su diciamolo: l'imbambolato,che mia nonna Concetta mi ripeteva sempre ogni qualvolta non fossi abbastanza pronto e sollecito a recepire alcuni comandi o suggerimenti. Debbo dire che perlopiù la cosa mi divertiva, ma qualche volta poteva finire per inquietarmi, specie quando cercavo di visualizzarlo questo spaventato del presepio : spaventato di che? di niente, dell'ordinarietà di tutte le altre figure del Presepio per lo più intente alla loro occupazioni, il fabbro, il panettiere, il fruttarolo,il caldarrostaio. Mia nonna era era siciliana e i siciliani sono eccezionali per cogliere certe sfumature della vita, come per esempio la parola, quindi il presepe sarà pure una minchiata, ma il suo impianto metaforico ce l'ha anche per un ateo inveterato come me, poteva dare adito a farsi certe idee, insomma un pò tipo quell'esercizio in voga alla Scuola di Palo Alto tra gente del calibro di Bateson, Haley, Watzlavitch, dove si invitavano gli allievi a visualizzare l'espressione che ad un certo punto nell'attesa delle varie portate in una tavola , veniva messo un cartello "A volte il pranzo non viene servito!" Ecco vorrei che tutti voi..."diceva a quel punto Grigory Bateson o qualcuno dei suoi assistenti..." provaste a verbalizzare come fate a figurarvi l'espressione di un pranzo che non viene servito""cosa fate" insisteva "pensate a camerieri schiffarati, a portate che tornano indietro? Oppure a voi stessi a girarvi i pollici?". La scuola di Palo Alto e il suo pranzo che non viene servito a melange di questo Presepio che anche lui non è detta che venga sempre allestito Prendo spunto e qualche tratto di un articolo di uno scrittore siciliano Alessandro D'avenia per un riscontro non religioso, ma esistenziale su questa metafora del presepio perchè in sostanza nelle varie figure del presepio è l’uomo di tutti i tempi che si rivela, con i suoi pregi e i suoi difetti. " Così troviamo adagiato da qualche parte il pastore addormentato, detto Susi Pasturi ("susirisi" è il verbo siciliano che indica lo svegliarsi e levarsi), e ben dritto da qualche altra il cosiddetto Scantatu, ovvero il mio "spaventato del presepio" il pastore a bocca aperta che guarda o indica la Stella, colto da una meraviglia incontenibile Mi piace pensare a questi due personaggi come a uno solo, colto in due momenti diversi. Il sonno tranquillo del primo, meritato riposo notturno di chi ha lavorato tutto il giorno e che proprio in quel riposo cerca la cura di una vita spesso piena di dolore, noia, ripetitività, quella che il pastore di Leopardi conosceva bene: «Se tu parlar sapessi, io chiederei: / Dimmi: perché giacendo /A bell’agio, ozioso, / S’appaga ogni animale; / Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?». Il pastore dormiente sa che quel riposo non basta mai, gli manca sempre qualcosa capace di riempire di meraviglia la vita, di gioia e di riposo il lavoro stesso, tanto da risolvere il grande enigma dell’esistenza: esiste qualcosa capace di rendere il lavoro riposo, la fatica gioia, le ore del giorno pace? Quel pastore ci rappresenta quando vorremmo fuggire dall’agone del mondo che si è fatto troppo arduo, quando nel cuore non c’è pace, l’amore degli altri non ci raggiunge, e ci sentiamo soli anche in mezzo alla folla. Meglio dormire e aspettare il sonno eterno («poi stanco si riposa in su la sera: / Altro mai non ispera», rincara Leopardi), morire o dormire? Entrambe sono esperienze che si fanno in orizzontale, dormire ci prepara alla posizione definitiva. Eppure nella notte oscura del nostro cuore, della nostra vita quotidiana può levarsi una stella, una novità, una notizia che rinnova tutto, che accende una speranza dentro la paura. Ai primordi della letteratura occidentale Omero ci regala una delle sue più belle similitudini, che sembrano descrivere il nostro pastore 'spaventato', 'meravigliato', dalle stelle: «Come quando le stelle nel cielo, intorno alla luna che splende, / appaiono in pieno fulgore, mentre l’aria è senza vento; / e si profilano tutte le rupi e le cime dei colli e le valli; / e uno spazio immenso si apre sotto la volta del cielo, / e si vedono tutte le stelle, e gioisce il pastore in cuor suo» ( Iliade, VIII, 555-560). Il pastore trova un motivo per essere verticale, attraverso la gioia del cuore, provocata dalla meraviglia del dispiegarsi del firmamento, si sente chiamato a essere sè stesso;c’è una forza di gravità che spinge al contrario, chiama verso l’alto, riempie di bellezza la fatica quotidiana. "volar su le nubi, / e noverar le stelle ad una ad una... / più felice sarei, dolce mia greggia, / più felice sarei, candida luna». E' una stella (de-sidera) occasione che ci è data per scoprire il segreto delle stelle, vero fondamento del nostro essere e del nostro non essere, fondati sul desiderio (tutto sommato il firmamento potrebbe voler dire tutto questo )
sembra una modalità di coniugazione spazio/temporale laddove ci si muove tra futuro anteriore e calcolo infinitesimale ove limiti, derivate e integrali sono proiezioni di numeri negativi (ovvero numeri immaginari)
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