domenica 21 febbraio 2021

HORROR E DISTOPIA IN MARY SHELLEY

 

Pioniera del racconto orrorifico, con probabilmente  il romanzo più famoso del genere Mary Shelley è anche una delle prime scrittrici di quelli che verranno definiti "racconti distopici" e che oggi sono tutto tranne che fantasia e fantascienza,  e lo diviene pubblicando nel 1826 un romanzo sulla fine dell’umanità a causa di una pestilenza scoppiata nel 2092, e lo fa traendo ispirazione dalle sue proprie perdite. Scrivendo del destino apocalittico dell’umano l’autrice piange i suoi morti, congedandosi da loro mentre li trasfigura nei protagonisti del libro. È la morte, vissuta come una presenza ineluttabile e individuale, a suggerirle la solitudine dell’ultimo della specie, L’ultimo uomo che intitola il libro.
Del resto Mary Shelley aveva già scritto Frankenstein, capolavoro in cui l’utopia diventa terrore nel tentativo di riportare in vita i defunti dando forma a una creatura tanto straordinaria quanto portatrice di sventura. Toccare il sublime, restituendo a corpi inerti un’identità vitale, significa infatti sostare nella traccia di ciò che è irrimediabilmente caduco. La violazione delle leggi naturali non causa punizioni divine, ma conoscenza del sentimento umano e dello stigma del diverso che, se non genera un eroe, genera un mostro. Ma in chi e dove? Nel redivivo assemblato da parti di cadaveri o in chi lo scaccia o deride, causandone l’ira omicida? Dirà la creatura:Non c’era nessuno nella miriade di uomini esistenti al mondo che volesse aver cura o pietà di me, dunque, perché provare benevolenza nei confronti dei miei nemici? .In quest’attesa, che è il tempo dello scrivere e dell’amare, Mary Shelley imparerà che dalla morte non si torna. Nella morte ci si può però addentrare da vivi, riportandone cicatrici: una prima che genera il mostro della natura umana; una seconda, più estesa, che iscrive l’umano nella violenza della natura tutta, contro cui è inutile combattere. Mary fu cresciuta dal padre, il filosofo radicale e libertario William Godwin, che celebrava la ragione sopra tutto, e sposò il poeta Percy Bisshe Shelley, a sua volta influenzato dalla filosofia di Godwin. Sono proprio la ragione paterna e gli ideali romantici con cui l’autrice infine è costretta a confrontarsi, delineandone la sconfitta nel disastro epidemico.L’ultimo uomo inizia come una profezia della Sibilla Cumana di cui, nel 1818, la prima voce narrante ritrova le foglie divinatorie. Quanto leggeremo è dunque la traduzione dei messaggi sibillini: non è ancora accaduto eppure è già stato visto. Perché i poeti e compagni che animano i personaggi sono di fatto già trapassati, Percy Bisshe Shelley affogato nel golfo di Livorno nel 1822; Lord Byron morto in Grecia durante la guerra d’indipendenza nel 1824. Con uno stratagemma dantesco la Shelley racconta a se stessa il lutto e ai lettori l’estinzione. Lionel Verney, protagonista della vicenda e trasposizione letteraria dell’autrice, ci parla dunque direttamente dalle foglie conservate per secoli in una caverna. Siamo nella seconda metà del ventunesimo secolo, l’Inghilterra è diventata una repubblica, governata da una élite di nobili: accanto a Lionel troviamo il figlio dell’ultimo re inglese, Adrian, dallo spirito umanitario e idealista, il più amato e fedele dei maestri e compagni, che riflette la figura di Percy Shelley e come lui morirà in Italia fra le onde, lasciando Lionel unico superstite al mondo; e Lord Raymond, leader anticonformista, ribelle e temerario, che morirà combattendo accanto al popolo greco, proprio come il suo ispiratore, Byron. Attorno a questi tre personaggi crescono famiglie e amicizie, che si consolidano e trovano riparo presso la tenuta di Windsor, luogo dove realmente Mary visse la felicità con Shelley. La piccola compagnia rappresenta un sogno, minacciato dalla guerra fra gli uomini e poi dall’incedere dell’epidemia. Viviamo l’uno per l’altro e per la felicità: cerchiamo la pace nella nostra cara casa, vicino al mormorio dei ruscelli, e al grazioso ondeggiare degli alberi, alla bella vegetazione della terra e allo sfarzo sublime dei cieli. Lasciamo la “vita”, per poter vivere. La peste appare non casualmente in Grecia, terra prima dell’identità europea e, ai tempi in cui scriveva la Shelley, di un lungo conflitto per la libertà:Ho sentito descrivere un quadro in cui tutti gli abitanti della terra sono in preda alla paura per dover affrontare la Morte. I deboli e i decrepiti fuggivano; i guerrieri si ritiravano, anche se continuavano a lanciare minacce durante la fuga. Lupi e leoni, e vari mostri del deserto ruggivano contro di lei: mentre la cupa Irrealtà aleggiava scuotendo il suo dardo spettrale, assalitrice solitaria ma invincibile. Proprio questo accade all’esercito greco.L’epidemia avanza assieme ad altri fenomeni come il sole nero che si alza a ovest e tramonta a est, segnando un totale sconvolgimento terrestre, alluvioni e ovviamente migrazioni di massa. I personaggi confidano nell’arrivo del freddo purificatore che plachi la virulenza della malattia, mentre l’astronomo Merrival, intrappolato nelle sue congetture sterili, resta cieco all’incedere della peste e continua a pronosticare un mondo felice, pacifico e armonioso entro… qualche migliaio di anni. La cecità umana e le speranze si infrangono contro la natura, unico volto del fato, che incede senza alcun intento giustizialista, ma perché così è e si rivela: meraviglioso mostro indifferente che ci abbraccia.Perché ululi così, vento? Per giorni e notti, per lunghi mesi, il tuo rombo non è cessato – le rive del mare sono cosparse di relitti, la superficie del mare, che un tempo accoglieva benevola le chiglie, ora è divenuta insormontabile; la terra, obbediente al tuo comando, si è spogliata della propria bellezza; la fragile mongolfiera non osa più navigare nell’aria agitata; i tuoi ministri, le nuvole, inondano la terra di pioggia; i fiumi abbandonano le loro sponde; il torrente folle distrugge il sentiero di montagna; la pianura e il bosco e la valle verdeggiante sono privati della loro bellezza; le nostre città sono soggette alla tua devastazione. Ahimè, che ne sarà di noi? Sembra quasi che le onde giganti dell’oceano, e vaste braccia di mare stiano per strappare dal loro centro la nostra isola radicata in profondità, e gettarla, come un relitto e una rovina, sui campi dell’Atlantico.Dice quasi in una supplica il protagonista. Ed è un passaggio commovente, per chi cerchi la storia personale dietro la trama: questo vento di devastazione è prossimo a quel vento occidentale di cui Percy Shelley veniva scrivendo presso l’Arno, annunciatore profetico della primavera. Mary, che dell’opera del marito fu curatrice, sembra sporgersi così sul fantasma del poeta, rovesciandone con pari forza visionaria le immagini. Chi si è amato non è più. Per tenerlo ancora un po’ qui occorre fare del desiderio un deserto, occorre arrendersi all’asprezza del vero.Cosa siamo noi, abitanti di questo globo, il più piccolo tra i molti che popolano lo spazio infinito? Le nostre menti abbracciano l’infinito; il meccanismo visibile del nostro essere è soggetto al più semplice accidente. Giorno per giorno siamo costretti a crederlo. Colui che è stato distrutto da un graffio, chi scompare dalla vita visibile sotto l’influenza delle forze ostili che ci attorniano, aveva le mie stesse facoltà – anche io sono soggetto alle stesse leggi. A dispetto di tutto questo, noi ci chiamiamo padroni della creazione, dominatori degli elementi, padroni della vita e della morte, e adduciamo a scusa di questa arroganza il fatto che, anche se l’individuo viene distrutto, l’uomo può continuare per sempre.Così, perdendo la nostra identità, che è quella di cui siamo maggiormente coscienti, ci gloriamo della continuità della nostra specie, e impariamo a guardare la morte senza terrore. Ma quando una qualsiasi nazione diviene la vittima dei poteri distruttivi di agenti esterni, allora invero l’uomo diventa piccolo fino ad essere insignificante, Sente diventare insicura la sua permanenza in vita, e negata la sua eredità terrena. La visione non antropocentrica di Mary Shelley ci ricorda che l’intelligenza umana non può nulla contro la natura fruttifera e mortale che ci contiene. Lette oggi queste parole hanno anche il sapore di una condanna verso l’arroganza stolta di chi innesca in loro un potenziale distruttivo inarginabile. Chi è infine l’ultimo essere umano? Alla deriva in un mare indifferente. Qualcuno che nonostante tutto non può dimenticare la sua umanità, in nome di chi ha amato. Nella sua solitudine trasforma il futuro in memoria. L’ultimo umano è ognuno di noi davanti al lutto, che è sempre la fine di un mondo. Nella sua resa può ricordare il breve sogno sognato con altri e così ancora trarne il bene, proteggerlo.

Frankenstein di Mary Shelley
L'angosciante storia di uno studente che conduce macabri esperimenti nel tentativo di restituire la vita ai cadaveri. Una favola terribile capace di imporsi con la forza delle immagini e la sua autonomia di mito universale. L'opera più celebre della Shelley

L'ultimo uomo di Mary Shelley
Come il primo libro di questa romanziera (Frankestein), questo romanzo singolare è considerato un antesignano della letteratura fantascientifica. Pubblicato nel 1826, viene ambientato negli anni 2090, quando una vastissima epidemia stermina la razza umana, accompagnandosi a tempeste straordinarie, maree superiori ad ogni limite, esondazioni di fiumi, e altre calamità.

sabato 20 febbraio 2021

KEYNES E GLI USA A BRETTON WOODS

 

Alla conferenza delle Nazioni Unite a Bretton Woods nel 1944, John Maynard Keynes mise sul piatto un’idea davvero eccezionale. Una volta respinta, Geoffrey Crowther – futuro editore della rivista Economist – ammonì che “Lord Keynes aveva ragione… il mondo si pentirà amaramente di aver rifiutato le suoi argomentazioni”. Ma il mondo non si pente, perché quasi tutti, incluso l’Economist, hanno dimenticato quello che aveva proposto. Una delle ragioni delle crisi finanziarie è lo squilibrio commerciale tra le nazioni. I paesi accumulano debiti che sono in parte il risultato del mantenimento di un deficit commerciale. 
Possono facilmente rimanere intrappolati in un circolo vizioso: più grande è il loro debito, più difficile diventa generare un surplus commerciale. Il debito internazionale logora lo sviluppo dei popoli, inquina l’ambiente e minaccia il sistema globale con crisi periodiche. Come aveva già intuito Keynes, non c’è molto che le nazioni debitrici possano fare. Solo i paesi che hanno un surplus commerciale hanno reale capacità di azione, quindi sono loro che devono essere obbligati a cambiare le proprie politiche. La sua soluzione era un sistema ingegnoso per persuadere le nazioni creditrici a spendere il denaro in surplus nelle economie delle nazioni debitrici.Propose l’istituzione di una banca globale, che chiamò ICU ( International Clearing Union). La banca avrebbe avuto una sua valuta – il Bancor – che poteva essere scambiato con valute nazionali a tassi di cambio fissi. Il bancor sarebbe diventato l’unità di conto tra le nazioni, vale a dire che sarebbe stato usato per misurare il deficit o il surplus commerciale di un paese.Ogni paese avrebbe avuto una possibiltà di scoperto sul conto bancor alla International Clearing Union, equivalente alla metà del valore medio del suo commercio nell’arco di un periodo di 5 anni. Per far funzionare il sistema, i membri dell’unione avrebbero avuto bisogno di un forte incentivo per azzerare il loro conto Bancor entro la fine dell’anno: cioè per finire senza né deficit né surplus commerciale. Ma quale sarebbe stato questo incentivo ? Keynes suggerì che qualunque paese accumulasse un grosso deficit commerciale ( pari a più della metà della indennità di scoperto sul proprio conto bancor ) avrebbe pagato degli interessi sul conto. Sarebbe stato inoltre obbligato a svalutare la propria moneta ed a impedire l’esportazione di capitale. Ma – e questa era la chiave del suo sistema – insisteva che le nazioni con un surplus commerciale fossero sottoposte alle stesse pressioni. Qualsiasi paese con un saldo bancor superiore alla metà della sua possibilità di scoperto sul conto avrebbe dovuto pagare un tasso di interessi del 10%. Sarebbe stato anche obbligato a rivalutare la propria moneta e a favorire l’esportazione di capitale. Qualora, alla fine dell’anno, il saldo avesse ecceduto il valore totale dello scoperto tollerato, il surplus sarebbe stato confiscato. Le nazioni con il surplus commerciale avrebbero quindi avuto un grande incentivo per sbarazzarsene. Così facendo, avrebbero azzererato automaticamente i deficit delle altre nazioni. Quando Keynes cominciò a spiegare la sua idea, su documenti pubblicati nel 1942 e 1943, essa esplose nelle menti di tutti coloro che la lessero. L’economista britannico Lionel Robbins riferì che “sarebbe difficile esagerare l’effetto elettrizzante sul pensiero di tutto l’apparato di governo rilevante… niente di così immaginifico e ambizioso era stato mai discusso prima”. Gli economisti di tutto il mondo avevano capito che Keynes aveva trovato la chiave. Mentre gli Alleati si preparavano alla conferenza di Bretton Woods, la Gran Bretagna adottò la soluzione di Keynes come sua posizione ufficiale per la negoziazione. Ma c’era un paese – all’epoca il più grande creditore mondiale – nel quale la sua proposta ricevette un’accoglienza più tiepida.
Il capo della delegazione americana a Bretton Woods, Harry Dexter White, rispose così all’idea di Keynes: “Siamo stati irremovibili su questo punto. Siamo assolutamente contrari”. Propose in alternativa un Fondo di Stabilizzazione Internazionale (Internatoional Stabilisation Fund), che avrebbe posto tutto il peso del mantenimento del bilancio commerciale sulle nazioni in deficit. Non imponeva alcun limite al surplus che gli esportatori di successo potevano accumulare. Suggerì inoltre una Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (International Bank for Reconstruction and Development) che avrebbe fornito capitali per la ricostruzione nel dopoguerra. White, sostenuto dal peso finanziario del tesoro americano, prevalse. Il Fondo di Stabilizzazione Internazionale divenne il Fondo Monetario Internazionale. La Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo rimane il principale braccio di prestito della Banca Mondiale. Le conseguenze, specialmente per i paesi indebitati più poveri,sono state catastrofiche. Agendo per conto dei paesi ricchi, imponendo condizioni che nessun paese libero potrebbe tollerare, il FMI li ha prosciugati, il fondo peggiora le crisi economiche esistenti e le crea dove prima non esistevano. Ha destabilizzato i tassi di cambio, esacerbato i problemi di bilancio dei pagamenti, costretto i paesi all’indebitamento e alla recessione, ha distrutto i servizi pubblici, i posti di lavoro e i redditi di decine di milioni di persone. I paesi a cui lo ordina il fondo, devono porre il controllo dell’inflazione come obiettivo primario rispetto a tutti gli altri obiettivi economici; rimuovere immediatamente le loro barriere al commercio e al flusso di capitali; liberalizzare i loro sistemi bancari; ridurre la spesa dei governi su tutto tranne che sul pagamento dei debiti contratti; e privatizzare i patrimoni che possono essere venduti agli investitori stranieri. Queste sono politiche agevolano gli speculatori finanziari senza scrupoli. Hanno esacerbato quasi tutte le crisi che il FMI abbia tentato di risolvere. Potreste pensare che gli Stati Uniti, che dal 1944 sono passati dall’essere i maggiori creditori mondiali a diventare i principali debitori mondiali, avrebbero motivo di rimpiangere la posizione assunta a Bretton Wooods. Ma Harry Dexter White si assicurò che gli USA non avrebbero mai potuto perdere la partita. Gli assicurò poteri di veto speciali su qualsiasi decisione presa dal FMI o dalla Banca Mondiale, che significava non dover essere mai soggetti alle richieste troppo sgradite da parte del Fondo. Il FMI insiste che le riserve valutarie mantenute dalle altre nazioni siano tenute in dollari. Questa è una delle ragioni per cui l’economia degli Stati Uniti non collassa, indipendentemente da quanto debito accumuli. Sono gli Stati Uniti il vero centro di potere: nel nuovo regime monetario internazionale imperniato sul dollaro possono agire da fonte di liquidità per il mondo intero. E lo fanno, in effetti, con una generosità senza precedenti. Il Piano Marshall costitui' notoriamente il programma di aiuti internazionali più ingente della storia. Altrettanto noto è che non risponde solo a una logica di potenziamento economico, ma anche alla necessità politica di consolidare il blocco occidentale di fronte alla minaccia sovietica. Ciò che invece rischia di passare inosservato è che le generose donazioni americane sono rese possibili proprio dal regime di eccezione di cui godono gli Stati Uniti, in virtù dello status privilegiato del dollaro come moneta internazionale. 
Come la vedova di Sarepta, l’America può dare allo straniero ciò di cui ha bisogno, senza che nulla venga a mancare a lei. I miliardi di dollari che mette a disposizione degli alleati non riducono di un solo centesimo il denaro che le resta, poiché quei dollari sono creati dal nulla. Sono aiuti senza costo… ma non senza prezzo: ciò che si perde, tanto nel caso dei donatori quanto nel caso dei beneficiari, è il senso economico delle loro reciproche relazioni. Non c’è modo di distinguere fra dono, prestito e scambio, in un regime in cui tutti e tre possono essere praticati indifferentemente senza intaccare il potere d’acquisto di chi li effettua. Keynes aveva messo in guardia da un simile rischio: «Sarebbe altresì un errore sollecitare, di nostra iniziativa, un aiuto finanziario degli Stati Uniti a nostro favore dopo la guerra, che sia a titolo di dono, di prestito senza interesse o di ridistribuzione gratuita di riserve auree». Perciò aveva respinto ogni idea di «piano filantropico crocerossino, grazie al quale i paesi ricchi vengono in soccorso di quelli poveri».Cinque anni prima che fosse concepito il Piano Marshall, Keynes contestava la logica che lo avrebbe ispirato: era una logica di potenza che avrebbe sbilanciato irreparabilmente le relazioni economiche e finanziarie, consegnando al paese più ricco la fonte stessa della ricchezza, consentendogli di acquistare senza spendere, di prestare senza rinunciare, di donare senza perdere.

lunedì 15 febbraio 2021

Da 10 a 100 anni....TUTTO INDIETRO


Da una parte sono oltremodo contrariato per questa età così avanzata, "ma ti rendi conto settant'anni!!!" e chi se lo sarebbe mai immaginato di arrivare a questa estremissima vecchiezza!? il fisico non è certo più quello di una volta, ecco se faccio qualche giro in più di corsa e provo un pò le parallele, mi sconocchio tutto, i denti cominciano a cariarsi (bhe ho cominciato dopo l'onta degli -anta) e poi mannaggia i chili in più, al sesso sul quale però non mi pronuncio, perchè mai più avrei pensato che si potesse fare sesso dopo i sessant'anni, figurati a settanta. Sulle facoltà intellettuali però ecco, niente da dire, anzi...colla vecchiaia si diventa tutto di più, l'ho detto mille volte: più brutto, più stronzo, permaloso e brontolone, però anche più intelligente! in merito alla seconda parte, bhe ! c'è da dire che il tempo da me vissuto è un miliardo di volte meglio di quello odierno, l'atmosfera, le canzoni, le feste da ballo a casa, i primi night , le ragazze che non si depilavano, neppure le ascelle, le tette vere e se erano piccine, pazienza, vigeva la famosa coppa di champagne e poi niente ossessiva pubblicità, il massimo era Carosello ed era un'opera d'arte, prima poi del '68 c'era ancora la Festa della matricola e dagli a divertimento sfrenato, ma ecco prima del '58 c'erano ancora i casini e questo mi fa propendere che non sono abbastanza vecchio, sono nato un pò troppo tardi: meglio molto meglio dieci anni prima classe 1938, che lo dicevo l'altra volta ad un amico, appunto di tale classe "tu hai avuto la fortuna di goderti il periodo più bello del secolo" se vogliamo c'è ancora di meglio, ovvero basta andare sempre indietro, più indietro, fino magari ad una nascita non di 10, ma di 100 anni prima della mia e godersi tutta la "Belle Epoque " il periodo più fantasmagorico di tutta la storia dell'umanità : il Liberty, i cafè Chantant, le uniformi degli ufficiali, i landò, via Caracciolo a Napoli e il Salone Margherita, la Parigi de Le Moulin Rouge, di Tolouse Lutrec , la Vienna di Wagner e Camillo Sitte, Sissi , il bel Danubio blu, la Marcia di Radetzsky, l'Orient Express, la palermo dei Florio, donna Franca e i quadri di Boldini, i fili di perle della Regina Margherita, i baffoni di Umberto, il circo di Buffalo Bill .. Insomma , quanto mi sarebbe piaciuto nascere prima, da 10 a 100 cent'anni !

PAURA E MALATTIA

 LA VITA E' TUTTA UN TRAUMA!

"vacca boia, mi sono raffreddato!!!"dice il mio amico Simone, sempre un pò piagnone "ho la tosse e anche il catarro, forse pure la febbre!" "e ci credo" gli fa di rimando Fernando "co' sta pioggia e co' sto vento..." eh già ma vuoi mettere, in merito a chi bussa a sto' convento? la vecchiarella la possiamo equiparare alla paura, brutta, vecchia, sdentata, ma insomma se a bussare è la giovane verginella? Tutta un altra musica no? e voglio proprio vedere che fine fanno tosse e incimurramento !!!! insomma ogni affezione è sopratutto una questione di stati d'animo, certo c'è è ovvio, l'evento esterno , più o meno traumatico - LA VITA E' TUTTA UN TRAUMA! - per questo io consiglio sempre di prendere un TRAM, specie se c'è la vocina come nei tramwaji di Praga che ti fa "prrrisssscti sssasssstaffffka Poooodooolssssha Fffffodarna", sali su e non ti infreddolisci, ma poi dai, quando mai se c'è la bella gnocca vicina o senti la vocina del tram, ti ammali, e' un pò come i monatti della peste o il bacio al lebbroso di Principi e Re, mai sentito che uno di loro si ammalasse di peste o di lebbra???? A parte l'entità del trauma, dal massimo oggettivo di una tramvata frontale a bordo di una cinquecento, o di un volo da un grattacielo, ad appunto un qualcosa di affrontabile, come appunto un temporale, il vento, qualcuno che ti va uscire dai gangheri, la palla passa a noi stessi e a come siamo in grado, per storia personale, per vissuto, per credenze e opinioni, di gestire la cosa! Una questione sopratutto emozionale, già ed ecco spiegato il perche' detesto tanto la medicina e la classe dei medici, perchè l'emozione di gran lunga più imperante nel mondo è la paura, e questa cosidetta scienza, questi loro sacerdoti, hanno eletto la paura a modus vivendi e non solo, ma hanno anche scoperto che ci si può fare un sacco di soldi, eredi non di Esculapio, che quello aveva una diversa accezione dell'intervento e della cura, ma eredi dei Monatti della peste, che abituati a gestire pericolo e paura per propria natura e usi di vita(banditi, taglieggiatori, assolutamente privi di scrupoli) si erano accorti che il loro saper gestire la paura degli altri era la migliore occasione per sottrarre e accaparrare fortune (ne parla anche Manzoni " i monatti divennero i padroni delle strade e usarono il loro potere per derubare gli ammalati o minacciarne le famiglie per estorcere loro del denaro, venendo tra l'altro sospettati di diffondere ad arte il contagio per non far cessare la pestilenza che rappresentava la loro fonte di guadagno. Non erano pochi infine quelli che si fingevano monatti attaccandosi un campanello al piede (il contrassegno che indicava la presenza di questi tristi figuri) e ne approfittavano per commettere ogni sorta di ruberie" Insomma la malattia è sempre una questione di paura, chi ha un altro pensiero, appunto l'avidità dei monatti, o oggi delle lobbies farmaceutiche, della sanità privata, etc., è immune dal contagio. Attenzione anche noi se non ci lasciamo irretire dalla paura, se pensiamo ad altro, se buttiamo al macero tutte le stronzate sul colesterolo, sulle varie cose che fanno male su statistiche manipolate a bella posta e sopratutto su quello che dovrebbe fare bene (medicinali, interventi, prevenzione, etc.), potremmo non ammalarci mai, o perlomeno gestire con sicurezza il programma sensato che sempre sta sotteso alla malattia . Paura e malattia sono un binomio micidiale ed è su tale connubio che si dovrebbe operare il distinguo.

IL CAPOVOLGIMENTO DEL FUTURO ANTERIORE

il Wall Street Journal ha riportato un rapporto del governo Usa dove si afferma che "GLI STATI UNITI STANNO CAPOVOLGENDO LA STORIA, ...