Mi trascrivo un pezzo di Homo Sacer di Agamben anche se debbo essere sincero il riferimento ad un pensatore come Badiou mi contraria. E' ben noto che io non considero possibile alcuna cultura se promanante da ideologie di sinistra, in quanto tutte fondate sul principio della preminenza economica, anzi dell'economia in se' e dei suoi tristi strumenti, il denaro, il mercato, il valore di scambio, il commercio, la mentalita' bottegaia, latori di un unico principio di distinzione nella congerie umana . Per me la unica e vera cultura deve rifarsi allo spirito, alla tradizione e anche in una certa accezione di "sacro" tutta pero' da definire e non a squallide imitazioni del conto della serva di Foucoltiana memoria (o dobbiamo rifarci a Eco?) quali si evincono dalla pseudo filosofia di Hegel e dai suoi piu' o meno, mediocri seguaci o imitatori : dai cosidetti economisti liberisti Smith, Ricardo, Say, Malthus, e anche dagli ancora piu' pseudo critici radicaleggianti del tipo di Marx, Hegel e appunto lo stuolo di pensatori cosidetti Marxisti . riporto comunque lo stralcio solo per rispetto e stima di Agamben e perche' questa distinzione tra appartenenza e inclusione mi intriga, e' come una sorta di rasoio di Occam : ecco perche' mi preme ripensare, appunto come fa Agamben in Homo Sacer alle nostre categorie esistenziali cercando quella distinzione tra vita naturale e vita politica (zoè e bios) che puo' essere anche applicata all'uomo come essere vivente e l'uomo come soggetto politico . Nel diritto romano arcaico homo sacer era un uomo che chiunque poteva uccidere senza commettere omicidio e che non doveva però essere messo a morte nelle forme prescritte dal rito. È la vita uccidibile e insacrificabile dell’«uomo sacro» a fornire qui la chiave per una rilettura critica della nostra tradizione politica. Quando la vita diventa la posta in gioco della politica e questa si trasforma in biopolitica, tutte le categorie fondamentali della nostra riflessione, dai diritti dell’uomo alla democrazia alla cittadinanza, entrano in un processo di svuotamento e di dislocazione il cui risultato sta oggi davanti ai nostri occhi. Seguendo il filo del rapporto costitutivo fra nuda vita e potere sovrano, da Aristotele ad Auschwitz, dall’Habeas corpus, alle Dichiarazioni dei diritti, il libro di Agamben cerca di decifrare gli enigmi che il nostro secolo ha proposto alla ragione storica. Fino a vedere, nel campo di concentramento, il paradigma biopolitico nascosto della modernità in cui città e casa sono diventate indiscernibili e la possibilità di distinguere tra il nostro corpo biologico e il nostro corpo politico ci è stata tolta una volta per tutte. Ecco dunque il passaggio ove viene citato un personaggio altro come Badiou che tuttavia in una accezione che puo' trascendere quello della trista ideologia cui fa riferimento possono ritrovarsi degli elementi come ho detto interessanti e intriganti , giusto come un rasoio di Occam che operi per inclusione oltre che per esclusione, ovvero un po'secondo la falsariga della stessa formulazione del principio "entia non sunt multiplicanda..... e quell'apparire dell'eccezione.... quel "praeter necessitatem" Badiou sara' si marxista e questo gioca a suo sfavore pero' va rilevato come sostanzialmente sia stato un pensatore che e' riuscito a sviluppare un'ontologia del molteplice capace di delineare una teoria del soggetto utilizzando la teoria degli insiemi , diciamo una sorta di parallelo con lo psicoanalista cileno Ignacio Matte' Blanco che con gli stessi insiemi e i principi di inclusione e esclusione e passaggio nella categoria dell'infinito ha delineato la funzione simmetrica dell'inconscio, giustappunto l'Inconscio come insiemi infiniti."Nella teoria degli insiemi si distingue fra appartenenza e inclusione. Si ha inclusione quando un termine è parte di un insieme, nel senso che tutti i suoi elementi sono elementi di quell’insieme (si dice allora che b è un sottoinsieme di a) Ma un termine può appartenere a un insieme senza essere incluso in esso (l’appartenenza essendo la nozione primitiva della teoria) o, viceversa, esservi incluso senza appartenere ad esso. In un libro recente, Alain Badiou ha svolto questa distinzione, per tradurla in termini politici. Egli fa corrispondere l’appartenenza alla presentazione, e l’inclusione alla rappresentazione (ri-presentazione). Si dirà, così, che un termine appartiene a una situazione, se esso è presentato e contato per uno in questa situazione (in termini politici i singoli individui in quanto appartenenti alla societa'Si dirà, invece, che un termine è incluso in una situazione, se è rappresentato nella metastruttura (lo Stato) in cui la struttura della situazione è a sua volta contata come uno (gli individui, in quanto ricodificati dallo Stato in classi, per esempio come «elettori»), Badiou definisce normale un termine che è, insieme, presentato e rappresentato (cioè, che appartiene ed è incluso), escrescenza un termine che è rappresentato, ma non presentato (che è, cioè, incluso in una situazione senza appartenere ad essa), singolare un termine che è presentato, ma non rappresentato (che appartiene, senza essere incluso) Nello schema di Badiou essa introduce una quarta figura, una soglia di indifferenza fra escrescenza (rappresentazione senza presentazione) e singolarità (presentazione senza rappresentazione), qualcosa come una paradossale inclusione dell’appartenenza stessa. Essa è quel che non può essere incluso nel tutto a cui appartiene e non può appartenere all’insieme in cui è già sempre incluso. Ciò che emerge in questa figura-limite è la crisi radicale di ogni possibilità di distinguere con chiarezza fra appartenenza e inclusione, fra ciò che è fuori e ciò che è dentro, fra eccezione e norma. Il pensiero di Badiou è, in questa prospettiva, un pensiero rigoroso dell’eccezione. La sua categoria centrale, quella di evento, corrisponde infatti alla struttura dell’eccezione. Egli definisce l’evento come un elemento di una situazione tale che la sua appartenenza ad essa è, dal punto di vista della situazione, indecidibile. Esso appare, perciò, allo Stato necessariamente come escrescenza. Il rapporto fra appartenenza e inclusione è, inoltre, secondo Badiou, segnato da un’inadeguazione fondamentale, per cui l’inclusione eccede sempre l’appartenenza (teorema del punto di eccesso). L’eccezione esprime appunto questa impossibilità di un sistema di far coincidere l'inclusione con l’appartenenza, di ridurre a unità tutte le sue parti" Dopo Badiou sempre nel libro di Agamben troviamo una accenno alla tesi kojèviana, sulla fine della storia e sulla conseguente instaurazione di uno stato universale
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omogeneo che come dice Agamben " sembra presentare molte analogie con la situazione epocale che abbiamo descritto come vigenza senza significato (questo spiega gli odierni tentativi di riattualizzare Kojève in chiave liberal-capitalista). Che cos’è, infatti, uno Stato che sopravvive alla storia, una sovranità statuale che si mantiene oltre il raggiungimento del suo telos storico se non una legge che vige senza significare? Pensare un compimento della storia in cui permanga la forma vuota della sovranità è altrettanto impossibile che pensare l’estinzione dello Stato senza il compimento delle sue figure storiche, poiché la forma vuota dello Stato tende a generare contenuti epocali e questi, a loro volta, cercano una forma statuale divenuta impossibile (è quanto sta avvenendo nell’ex Unione Sovietica e nell’ex Jugoslavia). All’altezza del compito sarebbe oggi soltanto un pensiero capace di pensare insieme la fine dello Stato e la fine della storia, e di mobilitare l’una contro l’altra. È in questa direzione che sembra muoversi - anche se in modo ancora insufficiente - l’ultimo Heidegger, con l’idea di un evento o di una appropriazione ultima {Ereignis), in cui ciò che viene appropriato è l’essere stesso, cioè il principio che aveva finora destinato gli enti nelle diverse epoche e figure storiche. Ciò significa che con l 'Ereignis (come con l’Assoluto hegeliano nella lettura di Kojève), la «storia dell essere giunge alla fine » (Heidegger 2, p. 44) e, conseguentemente, la relazione fra essere e ente trova la sua « assoluzione ». Per questo Heidegger può scrivere che, nell’Ereignis, egli cerca di pensare «l’essere senza riguardo all’ente», il che equivale a nulla di meno che provare a pensare la differenza ontologica non più come una relazione, essere ed ente al di là di ogni possibile rapporto. .


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