Gli orecchioni sono stati una malattia che mi ha reso evidente il sotteso simbolismo , che sarà oggetto della sconvolgente scoperta di Ryke Geerd Hamer (le famose 5 Leggi Biologiche ) e che si spera tra poco, quando si sarà esaurita questa buffonata del virus contagiosissimo, qualifica nella più infima delle maniera l’attuale situazione della medicina (peggio del cerusico di secoli fa, dei cataplasmi e dei salassi)
Gli orecchioni ovvero le orecchie più grandi per disporsi all’ascolto di storie e racconti per disporsi all’ascolto di storie, racconti, incentrate, nel mio personale caso su di una persona identificabile con l’inconscio pochissimo abreagibile dei miei primi 31 mesi di vita, quelli appunto in cui fui in fortissima vicinanza e appunto familiarità con il mio omonimo e nonno paterno Mario Nardulli. La matrice dell’interesse, anzi per molti versi di una vera e propria identificazione proiettiva, va analizzata nella fortissima affettività nonché assoluto riconoscimento da parte di tale persona verso me’ stesso come altro e come soggetto di desiderio . Non a caso la mia prima parola non è m-a-mmm-a, ma m-o-mm-o con la “o” al posto della “a” ed è appunto alla parola “mommo” che vengono associati i desideri appena le parole riescono a scandire un significato (juà mommo, mai mommo = gelato nonno, andiamo al mare col trenino nonno) e tante altre cose, praticamente tutto, dalle passeggiate appunto fino ad Ostia mare col trenino, a casa di zia Olga (la sorella del nonno) alle prese con la cioccolata calda, lungo via delle Fornaci alta sulla spalle della servetta per andare a cuocere le statuine che quegli faceva . Proiettiamoci dunque in quel novembre 1888 e andiamo oltre al 1889, all’inizio degli anni novanta, sempre Cafè Chantant, la Belle Epoque, Paris e Wien, la Napoli del Salone Margherita e la Palermo di Donna Franca Florio, i quadri di Boldini a specchio italiano di Tulouse Lutrec e gli impressionisti , la guerra d’Africa il pieno dello scandalo della Banca Romana, la battaglia di Adua, il Negus Menelik e sua moglie Taitù, l’uccisione di Sissi a Ginevra ed il nostro compie 10 anni sempre in via Aureliana per affacciarsi al nuovo secolo e l’impressione dell’uccisione di Re Umberto a Monza, riportata a me in diretta col ricordo da ragazzina di 8 anni che giocava in piazza Vittorio che allora non era né il mercato, né la accozzaglia di cinesi e di arabi di oggi. Andavano anche a prendere il gelato da via Aureliana all’Acqua Acetosa attraversando tutte le colline dei Parioli (che ancora non c’erano) d’estate a prendere il gelato, o meglio “a vedere i figli dei ricchi che prendono il gelato!” diceva mio bisnonno Nicola che sebbene altissimo funzionario del Ministero del Lavoro era di una austerità e severità spaventosa (anche se in linea coi tempi) …la moglie Marianna raccontava che quando tornava dal lavoro, lei si nascondeva per prendere fiato e presentarglisi davanti : era un bel signore alto e imponente con baffi all’insù e barbetta, laureato il giurisprudenza all’Università di Napoli con Luigi Settembrini (avevo il certificato di laurea del 1872, fichissimo, ma in uno dei miei tanti traslochi l’ho perduto) commendatore dell’Ordine dei SS.Maurizio e Lazzaro, che fino alla morte di zia Olga la croce con il nastro a collare era nella vetrinetta del salotto di casa di zia Olga a Via Novara, assieme ad altre medaglie, dei fratelli: quella di bronzo fusa dai cannoni austriaci catturati nella Grande Guerra, quelle d’argento tutta annerite e il nastro azzurro sfilacciato, la medaglia della campagna d’Etiopia con il gladietto sul nastrino, un pezzo della bomba che aveva affondato la nave di zio Nino nel 1916, lo spadino di questi dell’Accademia di Livorno, il libro della tesi di laurea della sorella maggiore Caterina, lo stemma del gladio fra fronde dei reparti d’assalto alpini (fiamme verdi) . Nino nel 1894 a 17 anni era andato all’Accademia di Livorno come cadetto, Mario era stato qualche tempo al collegio di Alatri e frequentava il Ginnasio era già molto alto, specie pei tempi, e campioncino di nuoto e di canottaggio, aveva vinto una gara di nuoto sul Tevere di 16 chilometri ( e zia Olga mi aveva regalato alcune medagliette che si erano in una scatoletta sempre in quella vetrina) , però quando li ebbe lui 17 anni ci fu un incidente sotto natale del 1905 , ovvero lui aveva risposto bruscamente al padre. Nottetempo il severissimo Nicola con l’aiuto dei due fratelli Nino che era in licenza dall’Accademia, lo legò nottetempo al letto e lo riempi’ di cinghiate. L’indomani mattina Mario prese il primo treno alla Stazione Termini (quella bellissima di allora) e scese in un paesetto dell’Alta Italia molto pittoresco dopo ore e ore di viaggio : Salò sul Garda. Trovò un lavoretto in una pasticceria e caffè, ma siccome era un gran bel pezzo di ragazzo nel giro di poco trovò una piacente signora che lo prese sotto la sua protezione e lo fece impiegare da una ferrovia privata dell’epoca che faceva servizio da Peschiera a Riva del Garda . Quando il padre riuscì a ritrovarlo erano passati sei mesi e lui non ne volle saperne di fare ritorno a Roma , anche perché nella ferrovia guadagnava molto bene (mai saputo precisamente quale fosse il suo lavoro, comunque qualcosa che aveva a che fare con la presenza e la rappresentanza) Finì anche per fidanzarsi con una ragazza delle migliori famiglie del paesetto dopo un annetto e forse qualcosa in più dalla sua fuga, e il padre probabilmente per farsi perdonare del famoso gesto, si recò a Salò con un anello di fidanzamento - segno inequivocabile che la situazione richiedeva un nuovo cambiamento, anzi una seconda fuga ,andar via da Salò, trasferirsi a Como alla Direzione di quella ferrovia dove aveva conseguito anche una promozione e lasciar lì come un allocco il severo padre e quell’anello. Dopo minacce e insistenze soprattutto della madre si decideva finalmente di fare ritorno a Roma nel 1908, dove era stato assunto con un contratto a temine dalle Ferrovie dello Stato, anche perché bisognava prendere in seria considerazione il fatto di riprendere gli studi : il fratello Nino era stato nominato Guardiamarina, la sorella Caterina era laureanda in Lettere e filosofia all’Università di Roma, il fratello più piccolo Ugo si stava diplomando come ragioniere contabile e la più giovane Olga era maestra giardiniera, ma contava di conseguire il diploma magistrale solo lui era bloccato alla licenza ginnasiale che risaliva al 1904 e aveva abbandonato gli studi al 2° liceo classico, aggiungici poi che nell’ottobre del 1908 era stato richiamato alle ami col terzo contingente dell’anno 1888, dove però era stato inquadrato nella 2^ categoria che contemplava solo un primo addestramento di tre mesi per poi venir dispensato dal servizio attivo fino ad un mese dal congedo che sarebbe stato nell’ottobre del 1911, il tutto nel reggimento di stanza a Roma, in Via Giulio Cesare: l’81° fanteria della Brigata Torino.Quindi solo tre mesi di naja , ripresa della vita borghese con il 1909 e ripresa anche del lavoro sicchè impossibile far ritorno al liceo; per l’anno scolastico 1909-1910 aveva quindi deciso di frequentare una scuola serale per il conseguimento del diploma di perito edile, dato che con il lavoro delle Ferrovie si era andato molto occupando di cose tecniche tipo costruzioni di casematte e sistemazioni di strada ferrata. Siamo quindi nel 1909 : a Roma il cosidetto Blocco Nathan e il Piano regolatore (eccezionale) dell’ing. Edmond De Saint Just che immetteva il principio della differenzazione edilizia per arginare e bloccare la cosidetta espansione a macchia d’olio della città che i due piani precedenti dell’Ing. Viviani (1873 e 1883) non erano riusciti ad impedire .Nel 1910 conseguiva a pieni voti il diploma e però lasciava il lavoro alle Ferrovie per impiegarsi in varie società di costruzioni private che dopo la Grande Crisi edilizia, stavano ricominciando ad operare nella capitale. Rischiava di partire per la Libia nel settembre del 1911 perché la Brigata Torino era stata destinata alla guerra e lui a rigore era ancora sotto le armi, ma a quel punto richiedeva che in caso di prolungamento della ferma allora avrebbe dovuto essere assegnato ad un corso allievi ufficiali, cosa un po’ complessa, che anche con un certo interessamento del padre che oramai era al massimo della carriera Ministeriale ed occupava uno dei posti di vertice, si riusciva ad annullare la mobilitazione per l’Africa rimandando il congedo di una quindicina di mesi : l’ultimo mese di soldato di leva sarebbe stato espletato difatti nel maggio 1913 . Nel 1911 lavorava soprattutto nella zona di Piazza d’Armi dove si erano allocati i padiglioni dell’Esposizione per il cinquantenario dell’Unità; viaggiava anche per qualche altra città Italiana, soprattutto Napoli che gli entrava profondamente nel cuore, preferendola di gran lunga a Roma . La guerra di Libia la seguiva dai giornali e dalle copertine della Domenica del Corriere nelle tavole di Achille Beltrame, così come altri fatti di cronaca: il naufragio del Titanic, le corse automobilistiche, i voli sempre più arditi degli aeroplani, ma tutto sommato sempre nell’atmosfera del vecchio mondo della Belle Epoque dominato dalla rapprentazione Liberty, assurta oramai a vero e proprio codice non solo artistico del mondo contemporaneo; era anche il mondo del futurismo e delle altre avanguardie, mentre si diffondevano nuove idee davvero rivoluzionarie tipo la teoria della relatività di Einstein, la psicoanalisi di Freud e anche di altri suoi seguaci tipo Jung che divenivano rivali . Nel maggio 1913 c’era da espletare quell’ultimo mese di naja per ottenere il congedo con il richiamo presso l’81° fanteria non proprio a Roma, ma nella vicina Manziana, quindi compiuti i 25 anni c’era da trovare un qualche lavoro meno aleatorio e provvisorio di quelli che finora aveva fatto. Avrebbe voluto iscriversi all’Università come la sorella Caterina laureata in Lettere e il fratello minore Ugo che con il diploma di ragioniere si era potuto iscrivere ad Economia e commercio, mentre il fratello Nino che aveva partecipato alla guerra di Libia con l’ammiraglio Millo, a 27 anni nel 1914 veniva promosso al grado di Tenente di Vascello e insignito della croce di Cavaliere della Corona d’italia,ma niente, si impiegava con buone prospettive in una Società di costruzioni con sede nel nuovo quartiere di piazza Mazzini ex Piazza d’armi.1914 ultimo anno dell Belle Epoque la pistolettate di Gavrilo Princip a Serajewo, con la morte dell’Arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie, avrebbero frantumato il mondo più bello che l’umanità sia mai riuscita ad esprimere. Lui Mario la pensava in tutto e per tutto come Giolitti di cui era un grosso estimatore e non era per nulla tentato dalle smargiassate dei pochi interventisti, non parliamo poi dei voltagabbana di quel socialista Direttore dell’Avanti, che si capiva fin troppo bene che era stato comperato dai soldi dei Francesi che avevano cominciato ad intravedere che avrebbero potuto portare la indecisa e tutto sommato, fredigrafa Italietta, dalla parte dell’Intesa e tradire senza troppa vergogna la Triplice alleanza con cui all’Austria e alla Germania eravamo alleati da trentatré anni e l’ultimo rinnovo dell’Alleanza per ulteriori 10 anni, era stato firmato nel 1912; se comunque guerra doveva essere – lui la pensava così - meglio con i vecchi alleati, senza bisogno di andare a macchiarci di una nuova figuraccia, tanto più che dai resoconti dei giornali, probabilmente se nella fase clou della battaglia della Marna nel settembre, ci fosse stata, come prescritto dall’alleanza l’invio di una Armata su tre corpi d’Armata a rintuzzare l’intervento dell’Armata di Parigi di Gallieni, forse il capitolo guerra sarebbe potuto essere messo nel dimenticatoio . Stante quella convinzione, oramai superata, rimaneva dell’idea che quel “parecchio” che era stato motivo di grosse critiche allo Statista di Dronero, era probabilmente la cosa più saggia da farsi. Per natale la sorella Caterina che il padre aveva obbligato ad assumere una cattedra di insegnamento al liceo di Avezzano dato che l’altra destinazione Novara era troppo distante era tornata in famiglia, ma ai primi del nuovo anno era ripartita con la zia Carlotta sorella della madre, raggiunta qualche giorno dopo dal fidanzato…eh già, ma quel qualche giorno dopo significava 15 gennaio : il terrificante terremoto della Marsica con 45.000 morti che aveva letteralmente distrutto anche la città di Avezzano, dove lei Caterina, la zia e il fidanzato si trovavano e che non furono mai più ritrovati, dispersi tra le macerie . Il fratello Nino fu dirottato al comando di una squadra della marina nei soccorsi, ed anche lui si presentò nelle squadre piuttosto improvvisate di volontari, che furono poi poste agli ordini di un Colonnello dell’Esercito di grande severità, un colonnello dalla fluente barba bianca che incuteva un terrore reverenziale nei soldati, ma soprattutto nelle bande di sciacalli che rovistavano nelle case distrutte e che lui, quando li coglieva sul fatto, faceva passare per le armi seduta stante: ”meno male non essere sotto di lui “pensava rimarcando quella estrema severità non sospettando che se lo sarebbe ritrovato appena un anno dopo, oramai con la greca di Generale comandante della Divisione che difendeva il Pasubio, dove anche lui che con la guerra era stato assegnato negli alpini, data quella sua iscrizione nelle liste di leva del Comune di Como di 10 anni prima. “Certamente” osservo’ al ritorno dei due figli la madre Marianna Fanizza che aveva perso una figlia e una sorella, ed anche un futuro genero “è una tragedia, ma perlomeno sarà valsa ad evitarci la guerra “ Pia illusione, difatti nei mesi successivi la situazione precipitava inesorabilmente: l’Italia firmava il Patto di Londra, nel marzo 1915 con l’impegno di entrare in guerra contro l’Austria, ma non contro la Germania, entro due mesi, denunciava la Triplice e il 23 maggio tramite il presidente del Consiglio Salandra che operava quasi un colpo di stato parlamentare essendo la maggioranza contraria all’intervento inviava la dichiarazione di guerra all’Imperatore Francesco Giuseppe con inizio delle operazioni il giorno seguente, il famosissimo 24 maggio 1915. Un mese prima Mario era stato richiamato alle armi, con gli incartamenti però della sua originaria iscrizione alle liste di leva nel 1905/06, e siccome servivano spasmodicamente ufficiali e avendo lui un titolo di studio, veniva il 27 aprile avviato al corso ufficiale reggimentale del 3° Alpini . Gli alpini? Ma che c’entro io negli alpini?” aveva protestato “io sono un marinaro, nuotatore, canottiere, e sono perfino astemio!” “stai pur certo “ gli fece il Capitano con forte dialetto lombardo “che astemio non lo resterai a lungo” ed eccolo raggiungere un paesetto vicino Varese dove iniziava questo nuovo periodo della vita, mentre la guerra dal 24 maggio, come abbiamo visto arrivava anche in Italia . Nominato Caporale dopo un mese e Sergente AUC il 18 giugno viene assegnato ad un battaglione operativo il Fenestrelle sempre del 3° reggimento alpini, di stanza su retrovie e sempre in istruzione e fa parte della Divisione di cui ha assunto il comando un Generale che diverrà famosissimo: Antonio Cantore detto il papà delle penne mozze , ovvero degli alpini caduti. Si arriva al 23 settembre in cui va in licenza di attesa nomina e l’8 ottobre 1915 è nominato Sottotenente assegnato al btg.Vestone del 5° rgt° alpini. Si diparte quindi il mitologema più permeante della mia vita, quello dell’atmosfera della Grande guerra e con referenziazione degli alpini, proprio in virtù del fatto che di tale Corpo faceva parte nonno Mario, come tutto ricordava nella casa di via Nicolò V : la foto del 1915 su in montagna in posa scultorea incorniciata tra due vetri verdini (le onde d vetro) il cappello colla penna bianca, le medaglie d’ argento annerito e cogli stinti nastrini. Per la verità c’era anche lo scudo del guerriero Galla, la pistola spagnola Astra usata proprio nella campagna d’Etiopia nella Divisione Pusteria, il martelletto istoriato per spezzare lo zucchero del tè, un Naghilè, ma la Grande Guerra era senza dubbio il referente più rappresentativo “affido all’onore dei battaglioni…” “lei può contare su una medaglia d’argento al valore” parole seguite all’abbraccio del Gen. Andrea Graziani lì discendendo dal Col della Borcola, che poi era proprio quel Colonnello di Avezzano e che ora comandava la elefantiaca 44^ Divisione che aveva l’entità di un Corpo d’Armata a difesa e contrattacco della famosa Straf-Expedition della primavera estate 1916. Era passato proprio nel giorno del suo 27° compleanno, il 25 novembre 1915, ad un battaglione costola del Vestone: il Monte Suello la cui denominazione Monte indicava la operatività di primissima linea e costituito da reparti di leva e comunque di età non superiore ai 30 anni , anche detti battaglioni “bocia” per distinguerli da quelli con denominazione “valli” costituiti da classe più anziane richiamati e comunque oltre i 35 anni. Proprio agli inizi della Offensiva austriaca il 15 maggio 1916, il comandante interinale del Monte Suello Capitano Corrado Venini era morto in combattimento in una maniera che ricordava le note della celeberrima canzone Il testamento del capitano (a me lo racconto’ un commilitone di mio nonno che viveva a Napoli dove aveva fatto l’avvocato, ma che era piemontese di origine e appunto commilitone di Mario Nardulli al Monte Suello, una sera di dicembre del ’64 (per l’esattezza la sera in cui venne eletto Saragat a Presidente della Repubblica, che ricordo che mio padre aveva chiesto alla moglie di Bertoldi se poteva tenere accesa la radio proprio per seguire lo spoglio delle votazioni,) a casa sua in cui lo eravamo andati a trovare su mia pressante insistenza, io con mia nonna Lucia, mia zia Rita e mio padre e i nomi dei politici scanditi dallo speaker della televisione, mi rimbombavano attraverso le enormi falde del vecchio cappellaccio di alpino, con la penna bianca tutta piena di segni di rossetto dei baci delle ragazze di cui quella di un vecio doveva essere piena “Fanfani, Merzagora, Saragat, Fanfani, Fanfani, Leone, Moro, Saragat, Fanfani, Saragat, Saragat, Saragat…..” mentre il vecio Bertoldi continuava a riempire i bicchieri di vino “bevi bocia, bevi…” Ecco tutta questa summa di ricordi, molto sul soggettivo, mitizzati sul personale, calcolati con infinitesimale sequenza sul flusso della memoria come quella famosa onda che dal vetro si sottrae e va verso il suo collasso, e’ struggente, esaltante ed anche nel suo prestare il fianco al paradossale, profondamente sfalsata: difatti a tutta quell’epopea non corrisponde un reale che lo alimenti al di là della forzatura ed anche sequel di inesattezze e bugie storiche, Nel calcolo di narcisismo infinitesimale prende il sopravvento l’immaginario, laddove però non riesce a costituirsi come fatto artistico di un minimo di oggettività. Quella guerra che seppellirà per sempre il mondo incantato della Belle Epoque, come ho detto, con tutta probabilità l’epoca più meravigliosa che l’umanità sia riuscita a costruire in tutta la sua storia, e’ in verità il male assoluto, la pura negatività e non ha proprio nulla di bello né come reale, né come immaginario, né tanto meno come simbolico. Lasciamo quindi il nostro mentore lì all’Ospedale da campo sul Pasubio,ferito piuttosto gravemente da schegge di Shranplels per ritrovarlo così fugacemente sul Piave e Montello nei reparti d’assalto della Divisione Speciale “A” per fare ritorno tra gli alpini del Monte Suello a comandare la compagnia mitraglieri d’assalto tra lo Spinoncia, il Monfenera, il Col dell’Orso durante la battaglia finale nell’ottobre/novembre 1918, e non andiamo oltre, non passiamo a verifica tutto il riferimento, a cominciare da quella plateale maramaldica inversione di campo della primavera del 1915, e a continuare con le infinite cialtronerie di conduzione di una guerra sbagliata, razzaffonata con l’emergere dei personaggi più mediocri e incapaci che abbiano mai popolato la storia della nostra Nazione(CORREZIONE DEL GIUGNO2021: No! Oggi e’ ancor peggio! la farsa della pandemia col suo stratosferico tasso di falsi, manipolazioni e mercimonio con collusione quasi totale della classe politica, e soprattutto di media e spettacolo non ha eguali !!)sia politici che militari a cominciare dallo stesso Re Vittorio Emanuele III e a seguire nominandone solo alcuni : Salandra, Boselli, Orlando, Cadorna, Badoglio e si, anche Diaz . Non a caso la 1^ guerra mondiale è stata vista come prodromo di qualcosa di ancora peggio : il fascismo di Mussolini che poi si unì al nazismo di Hitler per confluire quindi in quell’abominio di storia rappresentato da tutto quello che accadde nel periodo di una seconda guerra mondiale, che della prima ne rappresentò solo una logica conseguenza. Niente Mitologema quindi per quella guerra, solo un tantino di affezione per una persona, di cui ho spiegato le composite valenze simboliche per il mio narcisismo infinitesimale, che la attraversò, anzi attraversò, pagandone però il fio, anche l’esiziale continuum, riportando le gravissime ferite che dovevano ucciderlo nel gennaio 1951, quando io avevo 31 mesi, quasi pronto a raccogliere questa particolarissima eredità emozionale, fatta di paradossi e contro paradossi. So poco, pochissimo, dell’incontro e matrimonio di Mario Nardulli che dopo la guerra nel 1921 era entrato a lavorare nell’Opera Nazionale Combattenti,(O.N.C) un Ente parastatale fondato da Alberto Beneduce nel 1917, che sarebbe stato in primissimo piano nella celeberrima bonifica dell’Agro Romano e Pontino negli anni venti e trenta, con Lucia Siena mia nonna nata nel gennaio 1913 e quindi con quasi 25 anni in meno. Lui dopo aver lavorato per qualche tempo a Firenze e a Udine era stato trasferito a Napoli ed era operativo nella zona di Licola,Lago Patria con sede della Società appunto a Napoli dove conobbe la ragazzina quindicenne che l’intrigo’ e che dopo la nascita di mio padre nel giugno 1929, sposò, e vissero tutti, anzi con spesso la presa in casa della sorella di lei Rita che aveva 10 anni meno di Lucia (1933) : Nel 1929 lui era stato promosso 1° capitano e quindi nel 1934 era stato richiamato per un periodo di istruzione su nuove armi presso il 40° rgt° ftr. A Cortona .” Io sono un alpino, non uno della buffa” aveva protestato e così invece di essere congedato veniva trasferito al btg.Valvaraita e poi vice comandante dl Btg.Saluzzo nel 1935 . Gli è che quando era richiamato percepiva i due stipendi sia quello di impiegato, anzi funzionario della O.N.C. sia quello di Ufficiale, per cui la cosa era oltremodo conveniente, aggiungici poi che nell’ottobre 1935 era iniziata la Campagna d’Etiopia, ecco che nel febbraio 1936 veniva trasferito alla nuova 5^ Divisione alpini Valpusteria destinata appunto in Abissinia con l’incarico di Cte della X Colonna Salmerie. Riportava moglie bambino e sorella della moglie a Roma, sistemandoli tutti da delle suore a Piazza Mazzini (riportato da Lucia che mi raccontava tutto di queste cose, si da addurmi nel marzo 1963 quella famosa malattia degli orecchioni a valenza fortemente simbolica e oltremodo sensata = orecchie grandi per sentire meglio tutto questo raccontare) . Tornato dalla guerra d’Etiopia nell’ottobre e congedato nel gennaio 1937 veniva promosso Maggiore e esplicitamente richiesto da S.E. il Governatore della Tripolitania Italo Balbo, che era stato suo commilitone di guerra nei reparti d’assalto alpini (uno del Monte Suello l’altro de Pieve di Cadore) , nonché amico e lo aveva nominato CTe dei Presidi avanzati di Giado e Gadames inquadrato nella Divisione Sabrhata, che poi era la vecchia Brigata Verona (84° e 85° ftr.) con la quale aveva combattuto di gomito nel 1916 sul Pasubio durante la difesa dalla Spedizione Punitiva austriaca. Questa volta si era portato moglie e figlio ed anche se il Cte del XXX Corpo d’armata lo aveva redarguito per quella risoluzione, di certo il fatto di essere intimo di Balbo lo aveva messo al riparo da qualsiasi provvedimento disciplinare che quel Generale aveva minacciato. Rimasero un anno netto lì in Libia per fare ritorno in Itala a Palermo nel marzo 1938.Quindi aveva preso la casa di Via Nicolò V (che diventò la mia casa) ed era passato a lavorare alla Direzione Generale dell’O.N.C. in via Ulpiano. Due anni di vita tranquilla, ma nell’ottobre veniva richiamato a Perugia in un Ufficio del SIM, di poi aggregato alla Divisione Cacciatori delle Alpi con la quale era previsto il suo impiego in quanto tale divisione era passata nell’organico del CSIR. Nuova protesta che non gli aggradava per nulla lui “vecio” alpin troppo spesso rimandato nella “buffa” . Si aspettava quindi il trasferimento in una delle tre divisioni che costituivano il Corpo d’Armata alpino, ma all’ultimo momento nell’ottobre 1941 veniva invece destinato alla Divisione Pusteria (della quale aveva fatto parte nella campagna d’Etiopia) che si era dislocata in Jugoslavia dipendente dall’XI C.d’A. con sede a Lubiana e quivi veniva promosso Tenente Colonnello. Nel gennaio 1942 veniva nominato Responsabile dell’Ufficio Comando con sede in Lubiana, un incarico di grande responsabilità e prestigio, ma pur sempre d’ufficio. Il vecchio alpino de “affido all’onore dei battaglioni” dei tempi della Straf Expedition, della giubba aperta dei reparti d’assalto delle Fiamme Verdi, degli attacchi al Fontana Seccae al Monfenera, mordeva il freno negli uffici e corridoi , con le finestre blindate, tipo quelle dei carceri dell’Ufficio Comando, e spesso e volentieri inforcava la sua Jeep e si spingeva nell’interno. Un giorno di fine febbraio del 1943, era arrivata la notizia che un convoglio proveniente da Udine, si era perduto nella foresta slovena e probabilmente era attaccato dai partigiani di Tito che avrebbero potuto impadronirsi del materiale di approvvigionamento alimentare, ma anche militare e di armamenti, sicchè senza indugio, montato sulla Jeep accompagnato dall’autista personale ed un Tenente dell’artiglieria di montagna si era gettato nella sua ricerca tra i boschi e le asperità del terreno . L’aveva trovato in effetti accerchiato dai partigiani titini e utilizzando una mitraglia e un piccolo mortaio che il Tenente si era portato dietro si era messo a sparare all’impazzata lasciando credere coi movimenti repentini della jeep di essere dei sostanziosi rinforzi. Lui stesso che sul Montello nel giugno 1918 aveva comandato una compagnia mitraglieri nella Divisione Speciale d’Assalto “A” (Uno dei brevissimi periodi in cui nella Grande Guerra non aveva fatto parte degli alpini) sparava con la mitraglia puntando a fare un gran fracasso e impressionare il nemico. E ci era riuscito alla grande tant’è che lo stesso Tito che si trovava a partecipare a quell’azione aveva mandato un emissario per concordare una pacifica risoluzione della contesa : tutta una serie di autoblinde cariche di viveri erano rimaste imprigionate nell’assedio, ebbene i soldati fatti prigionieri sarebbero stati liberati , ma le autoblinde con vettovaglie no, se lui, il comandante intervenuto coi rinforzi (il bluff era riuscito) che con tanta perizia stava conducendo la difesa, avesse dismesso il contrattacco sarebbe stato libero di uscire dall’assedio e raggiungere Lubiana. Detto fatto ma nel corso del rientro un gruppo di altri partigiani non dipendenti da quelli, vedendo il lungo convoglio scivolare tra gli alberi lo aveva attaccato con veemenza sebbene le ombre della sera rendessero scarsa la visibilità. Nel corso dell’attacco la Jeep con lui sopra era stata colpita da uno Shranpel e rivoltandosi aveva fatto urtare violentemente la testa al nostro Colonnello oltre a produrre altre ferite. Tito in persona aveva bloccato il parapiglia mandando le sue scuse nei giorni seguenti per telegramma. Intanto lui veniva trasportato privo di conoscenza all’Ospedale di Lubiana con un forte trauma cranico, che faceva tenere per varie complicazioni, per la sua stessa vita. Il Comandante del Corpo d’Armata Gen. Gastone Gambara che era stato tra l’altro un suo vecchio compagno d’armi proponeva la concessione della medaglia d’oro al valore militare per lui, quella d’argento per il tenente e quella di bronzo per l’autista. Il trauma però era stato davvero forte e dopo oltre un mese di degenza a Lubiana veniva portato prima a Udine e poi al Celio di Roma (giugno 1943) : si rimetteva in piedi solo nel luglio e veniva sottoposto a visita collegiale dove gli veniva concessa una licenza di convalescenza di 60 gg. (20/7/1943) . succedevano in quei 60 gg. Cose sconvolgenti: la caduta del fascismo il 25 luglio e anche l’8 settembre, ma il trauma cranico era ben lungi dal risolversi e le sue c ondizioni non erano affatto buone. Nel giugno del 44 ci fu l’episodio del carro armato tedesco bloccatosi sulla via Aurelia all’incrocio con la via Nicolò V a ridosso della Villa dei Morelli, nel corso della ritirata della Wermacht da Roma e lui si rimetteva uniforme e con fiero cipiglio, assieme ai due giovani Morello Morelli sottotenente della Pai e il figlio dell’imprenditore edile Sensi, si recava dal capitano della Wermcht che stava già facendo brillare il carro . “si rende conto capitano che così distruggerà completamente la villa e produrrà ingenti danni anche ai palazzi circostanti?...lei non è una SS, lei è un signor capitano della Wermacht,….” Morale della favola , preso nel suo orgoglio di ufficiale, il capitano aveva fatto rotolare il carro lungo il dirupo che dava alla ferrovia, si che la ritirata delle truppe non fosse ulteriormente bloccata. Ovviamente i Morelli e un po’ tutti gli abitanti della via Nicolò V serbarono sempre una profonda e imperitura memoria di quell’episodio e della grandezza d’animo del vecchio e ferito Colonnello, anzi Tenente Colonnello, perché tale veniva richiamato presso il D.M. di roma per valutare la sua posizione nei gg. 5-8 ottobre 1944, con il giudizio di inabilità al servizio attivo, la qualifica di invalido di 1^ categoria e il collocamento in congedo presso la Riserva nel Ruolo d’Onore con il grado di Colonnello anzianità 9 ottobre 1944. Nel giugno 1945 riprendeva il servizio all’O.N.C. di via Ulpianosembra una modalità di coniugazione spazio/temporale laddove ci si muove tra futuro anteriore e calcolo infinitesimale ove limiti, derivate e integrali sono proiezioni di numeri negativi (ovvero numeri immaginari)
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