sabato 5 dicembre 2020

PER SENTIRTI MEGLIO

 

Mario Nardulli  e famiglia 

Scrivere questo mini saggetto, innanzi tutto le, per me, straordinarie e sconvolgenti riflessioni / rivelazioni dell'altro ieri, innescate da una più attenta lettura di uno di quei libri che io chiamo "libri aaaaahhhh" ovvero il "Grazie ancora dottor Hamer di Claudio Trupiano anzi ad essere precisi, di un passo di tale libro, quello in cui si diceva che una febbre a quaranta può essere indotta solo dal foglietto embrionale dell'ectoderma, ovvero inerente alla parte più recente del cervello, quello della corteccia cerebrale, il cui correlato simbolico di malattia, intesa come "processo biologico dotato di senso" si rifà a conflitti di separazione e del territorio, ma anche a rapporti con l'entità più importante e dominante dell'essere umano ovvero l'Es, sulla cui formazione simbolica entrano in gioco giustappunto le formazioni più evolute del cervello, ma poi anche da un paio di considerazioni ,sempre a ben vedere conseguenti da tale assunto che hanno contrassegnato queste ultime due incredibili giornate, considerazioni su episodi apparentemente banalotti, ma fortemente simbolici, fortemente metaforici , proprio sul senso letterale archetipo delle due parole ovviamente greco antico: il più volte da me citato "sum-ballein" dal prefisso "sum" e il verbo "ballein" col suo tradotto "ri-unire, ri-mettere insieme" e il "metha -phorein" anche questo con un prefisso "metha"= intorno e un verbo "phorein" = portare , la cui traduzione suona come "portare intorno, nei pressi, a ridosso" In primo, primissimo piano, quindi, quella sera di 55 anni fa , mercoledi 6 marzo 1963 che in relazione allo sconvolgimento prodottosi sulla mia psiche, e che in tutto questo tempo era stata oggetto di ripensamenti ossessivi, possibili ipotesi di spiegazioni sul perchè del suo accadimento, e che si, insomma alle correlazioni con i vari conflitti di separazione e di territorio, ma sopratutto di rapporto con l'Es, ci ero grosso modo arrivato, aveva rappresentato il giro di boa della mia vita, ma che ora , grazie a quel passo del testo cui ho fatto cenno, improvvisamente si delineava anche in termini procedurali -la febbre a quaranta! - "ma porca vacca, io la febbre a 40, l'ho avuta una sola volta nella vita!" mi sono detto in una vera e propria illuminazione : "QUELLA!".... e a che malattia in corso era dovuta? : "GLI ORECCHIONI!" Cristo ci può essere una malattia più simbolica dello stato in cui mi trovavo in quel periodo esattamente dall'ottobre del 1962, quando mi ero dovuto trasferire a Palermo da mia nonna Lucia, ovvero la ex moglie di mio nonno Mario Nardulli, mio omonimo, ma fino allora un ricordo parecchio sfumato. Gli orecchioni hanno il senso metaforico, anzitutto nominale, che a tutti quei racconti, che lei, Lucia (io mia nonna l'ho sempre chiamata solo Lucia), da 5 mesi, non faceva altro che sciorinarmi episodi, fatti, aneddoti incentrati appunto su Mario Nardulli; bisognava prestare la massima attenzione, anzi di più, due orecchie normali non bastano, ci vogliono "gli orecchioni" E stai pur certo che da quel giorno, gli orecchioni ce li ho messi eccome! e anche qualcosa in più: tutto me stesso, che la posta in gioco era davvero fondamentale: i rapporti con l'Es! Dovevo cominciare anche a trattare degli episodi correlati(l'interruzione dovuta ad una precisazione sulla 1^ guerra mondiale, il perchè certi personaggi avevano sempre rivestito una forte numinosita' positiva (Caviglia, Venturi, Grazioli, Balbo, Grandi) e altri del tutto negativa (Badoglio, Re pippetta, in primis, ma anche Gazzera, Cavallero, il Generale Zincone dell'episodio di Carzano) nel "qui ed ora" di ieri e l'altro ieri , nell'ottica, o meglio è il caso di rimettere in ballo la Junghiana funzione trascendente, anzi, dargli la qualifica di "super"... super trascendente, in merito a questo "Processo di Definizione" che oramai è qualcosa di più di un ipotesi. Quindi di tale altra numinosità la Grande Guerra, ma anche la malia della Belle Epoque, Parigi dei Cafè Chantant, la Felix Austria di Franz Joseph e di Sissi, il Salone Margherita di Napoli, Elvira Annarumma e Maldacea, i baffi di Umberto , le collane della Regina Margherita, i ritratti di Boldini di Donna Franca Florio, la Palermo felicissima di Villa Igiea e delle architetture di Ernesto Basile e anche di altri, fino a divenire come un grande film. Andando a cominciare più che il saggetto, a questo punto, il racconto: Sembrava uno di quei soliti pomeriggi da cercare di passare il tempo alla men peggio, e cosa abbastanza allettante al cinema Politeama proprio dentro il famoso Teatro, facevano un film di Corman tratto dai racconti di Egdard Allan Poe e con protagonista il suo adorato Vincent Price. Era perlomeno dal ’57 che si era andato appassionando con la relativa dose di terrore di tali film, prima quelli inglesi di Fisher, con il duo Cushing-Lee, che la nonna Concetta appassionatissima del genere sin dai tempi del primo Frankstein, quello con Boris Karlof, passava a prenderlo all’uscita da scuola alle cinque e mezzo per infilarsi dopo poco decine di metri al cinema Alce, che all’ora si chiamava ancora ABC, iper rifornendolo di bruscolini, mostaccioli, ceci, lacci e qualche volta anche fusaje. Christopher Lee che aveva interpretato il novello Frankstein, l’aveva abbastanza terrorizzato quando si sera scoperto la faccia dalle bende, ma niente al confronto di quando nel 1958 aveva interpretato Dracula il Vampiro, allora si che l’atmosfera orrorifica si era andata ad intessere con il reale del quotidiano in quel correlato del sangue, che nell’ immaginario surgeva, coi suoi denti aguzzi e tutto l’armamentario del suo aspetto, il pallore, il mantello, la ieratica figura, ma che il reale enfatizzava con ben altra potenza, tramite il meccanismo della malattia, quella malattia che la voce della strada di via Nicolò V aveva diffuso sul “terribile Ovatta” si proprio quell’Ovatta che qualche anno addietro lo aveva tormentato, picchiandolo, rubandogli il pallone, giocattoli, forte di suoi 5/6 anni in più… “ma lo sapete che Ovatta si quello che abita su verso la ferrovia, ha la tubercolosi?” ”Eh !? e che cosa è la tubercolosi?” aveva chiesto “si sputa sangue !” era stata la risposta, e tanto era bastato per venire consegnato anche lui alla medesima affezione o perlomeno alla paura/credenza di una simile affezione in forza di questo meccanismo di elementare trascinamento concettuale di identificazione proiettiva “Ovatta era cattivo, perchè lo picchiava ingiustamente, poi suo fratello più grande su sollecitazione di Lucio suo padre che era suo amico, lo aveva punito e il pericolo era passato, ma ora a distanza di 2 anni ecco che arrivava una ben altra punizione, che era sulla bocca di tutti e su quella di Ovatta: sputava sangue…..già!, ma anche per lui c’era sempre quell’epiteto : cattivo! “sei cattivo, bugiardo, infingardo” gli diceva continuamente la madre “mi hai mentito sul primo giorno di scuola, dici sempre bugie e mi hai fatto perfino litigare con tua nonna e tuo padre per via dell’apertura di quella lettera….. sei cattivo, cattivo, cattivo!” Se quindi lui era cattivo come cattivo era Ovatta, ecco che anche lui avrebbe potuto essere malato come malato era Ovatta. E’ notorio che quando hai un martello tutte le cose ti sembreranno dei chiodi, e ci andrai a sbattere contro: così era cominciata una vera e propria compulsione verso i films dell’orrore ed anche i romanzi , qualsiasi cosa che richiamasse il genere fino a quella summa che gli aveva dettagliato un vecchissimo professore svizzero su ad Interlaken nel luglio 1960, di Villa Diodati del concorso ideato da Byron sul tema appunto di un racconto dell’orrore, da cui erano venuti fuori nella stessa notte due dei più inossidabili mostri dell’immaginario collettivo Frankestein (Mary Shelley) e il Vampiro (William Polidori) Non era quella dell’orrore l’unica componente di fascinazione in quel quasi quindicesimo anno di vita: ecco ad esempio c’era stato il film Lolita di Stanley Kubrick , quella scena dove si vedevano i piedi di lei, che gli aveva fatto perdere la brocca, innescando una sorta di fissa sul personaggio, che gli aveva fatto divorare il libro di Nabokov; tornare a vedere il film più volte e coltivare una sorta di passione per tutta quella atmosfera di cui il personaggio, la avvenenza dell’attrice, la colonna sonora che la accompagnava componevano un unico elemento di fascinazione
L’atmosfera però più informante, quella che davvero era andata caratterizzando tutto il periodo da quell’ottobre in cui era venuto a Palermo per riparare gli anni che aveva perduto a seguito del cambiamento di casa a Roma era senza dubbio quella dei racconti della nonna Lucia sul suo primo marito, nonché nonno e suo omonimo. Come mai questo tipo di racconti, notizie, informazioni lo ammaliavano in maniera così trascendente? Suo nonno era morto quando lui aveva 31 mesi, nel gennaio 1951 subito dopo l’epifania e ne aveva solo un ricordo sfumatissimo e quanto mai impreciso, però ecco sentire parlare di lui aveva come un incredibile entratura verso se’ stesso….quale sé stesso ? quello di ragazzino che ancora non scandiva le parole o quello di un sé stesso odierno, fatto di un certo vissuto che abbisognava di avere come un sugello di appartenenza, come un recupero, ma un recupero particolare non fatto di metafore condensative tipo parole e linguaggio, ma piuttosto una sorta di allucinazione suscettibile di farsi prescrizioni, consigli, ammaestramenti di una entità diversa, assolutamente non operante consciamente, ma come per un continuo trascinamento di tutti i sentiti di quei primi 15 anni di vita e non solo anche di quelli, di qualcos’altro che per 31 mesi aveva conformato quasi a sua identificazione una coscienza non ancora distinta da un inconscio. Ecco che per questo quel pomeriggio andava ad assumere una portata esemplificativa andando ad appuntarsi su uno dei meccanismi più necessari anche se del tutto misconosciuti della funzione inconscia: non un sogno, non un lapsus, non un atto mancato e neppure una fantasia, ma la malattia, una specifica incredibile malattia di cui si doveva valutare solo il suo impianto nominalistico e una sua, chiamiamola così, esecuzione simbolica: ipersviluppare una certa specifica sensoriale quella dell’udito, fornendosi di apparecchiature, più potenti, più grandi per udire: non semplice orecchie, ma orecchioni! …per sentire meglio…tutte le storie sul nonno che la nonna andava riportando. Questo recupero di un inconscio eccezionalmente personalizzatosi su di una singola persona che in qualche modo si era fatto uno schermo proiettivo dell’inconscio di un bambino di non ancora tre anni, va a cominciare a delinearsi proprio con le manifestazioni del foglietto embrionale dell’ectoderma (oltre 40° di febbre) e con una malattia dal forte impianto simbolico nominalista, ecco è appunto questo che ci si accinge a dettagliare con quell’andata al cinema dei primi di marzo di quel 1963.
Non c’era molta gente al cinema, tant’è che era il solo di quella fila di mezzo , ma ecco che nel pieno della proiezione, mentre sullo schermo si muovevano il familiare Vincent Price e l’inquietante Peter Lorre al cospetto di un barile di ammontillado, comincia ad avvertire uno strano malore che va via via crescendo, fino a serrargli la gola, imperlargli tutto il corpo di sudore, una sgradevolissima sensazione di caldo e di soffocamento che non gli consente di seguire più il film, ma lo porta ad alzarsi, raggiungere prima il bagno, sciacquarsi il volto, ed infine guadagnare con notevole fatica l’uscita , con ancora la luce del giorno nella grande piazza. Dirigendosi verso la destra per la via Libertà ecco sopraggiungere un forte tremore per tutto il corpo, veri e propri brividi che fanno di ogni passo uno sforzo terribile per portarsi avanti . Per arrivare all’altezza della Standa ci mette più di un’ora ed oramai le ombre della sera hanno avvinto il grande Viale dove si vedono passare le scie luminose delle autovetture, /gialle e rosso/arancio con quel loro o farsi vicinissime o allontanarsi rapidamente dalla sua vista ; si è seduto, quasi accasciato sul muretto con la cancellata ancora sulla Via Libertà, ma è tempo che si infili nella traversa che porta su fino alla casa di via Nicolò Garzilli a quel numero 36, solo che non è sicuro di farcela, ogni passo gli sembra una impresa impossibile e quel tombino la’ nel mezzo del marciapiede un obiettivo fuori bordata. Sovente nei giorni seguenti, oramai pieno della malattia, nel fondo di letto, non riusciva a capacitarsi come diamine ce l’aveva fatta a raggiungere il portone di casa . Enzo e Lucia preoccupatissimi per quell’insolito e marcatissimo ritardo lo avevano trovato in preda ad un vero tremore generalizzato e con il corpo di un calore rovente che, appena a casa, aveva dato uno stato febbrile di 41° Da dove diamine poteva venire un simile febbrone? persino il dottore Zappulla che era stato chiamato con estrema urgenza non ci aveva capito nulla e solo l’indomani mattina osservando la ghiandola sotto la gola molto ingrossata aveva formulato la diagnosi di parotite, ovvero i tradizionali vecchi orecchioni, che lui ricordava solo nell’amico Nino tenuto a distanza da tutti, data la forte infettività di tal malattia, che camminava per via Nicolò con una grande fascia per tutta la faccia; di poi mai più avuto a che fare o anche vedere di sfuggita qualcuno o qualcuna con tale affezione. Come diavolo poteva averla quindi presa? Ecco lo vedi, mai trascurare l’impianto nominalistico che informa il simbolico della malattia, ora che era lì nel letto quasi immobilizzato, Lucia si poteva sbizzarrire a raccontare di Napoli, delle Bagne Caude a Saluzzo, quando il marito, ovvero proprio la persona che era al centro di tutto quello strano processo tra il mentale e l’emozionale, tra il reale e l’immaginario, con tutta probabilità nel registro del Simbolico, era stato richiamato con il grado di 1° capitano e poi in mandato in Africa nei Presidi avanzati di Giado e Gadames che con la promozione a Maggiore erano stati affidati al suo comando, si ma non più negli alpini, bensi nella “buffa” della Divisione Sabratha. Aveva protestato col suo vecchio commilitone dei Reparti d’assalto degli alpini, le Fiamme Verdi, Italo Balbo che era il Governatore della Tripolitania “Italo io sono degli alpini, non mi puoi assegnare nella Buffa….”lo so Mario, ma avevo bisogno di uno di cui potessi fidarmi in quei Presidi, e sono assegnati appunto alla Divisione Sabratha…porta pazienza e fammi questo piacere” 
Ovviamente non mancava il sentito dire sulla Grande Guerra, il commilitone Eugenio Bertoldi che lui Mario aveva salvato sollevandolo da un crepaccio dove sotto stavano passando gli austriaci, la morte del capitano Corrado Venini lì sul Colle della Borcola nei primi giorni della Straf Expedition e la grande amicizia con Gastone Gambara che essendo un ufficiale in spe era stato sul finire della guerra nominato Cte del XXIX reparto d’assalto alpini che era entrato per primo a Trento e gli aveva fruttato la promozione a Maggiore per merito di guerra ad appena 27 anni ed anche la Croce di Savoia. Insomma sentire tutte queste storie, scandirne ogni particolare, assimilarle per bene: il simbolico sotteso al funzionamento dell’intero cervello integrato, ovvero composto di un io conscio, ma anche di un Es inconscio, sapeva il fatto suo : orecchie normali non bastavano, ci volevano orecchioni. Il referente di trasporto erano le parole e il vissuto della nonna Lucia cl.1913 che aveva avuto ben 25 anni in meno di suo nonno (cl.1888) che era il vero riferimento di tutto il racconto, un racconto che più che altro si incentrava in quei 31 mesi di vita in comune e che non poteva essere abreagito dalla sua coscienza, e che quindi si identificava totalmente con l’inconscio. Manco a dirlo il giorno seguente sulla rivista Oggi
usciva un inserto in 4 puntate sulla Storia degli Alpini realizzato da Silvio Bertoldi un giornalista che aveva lo stesso cognome di quell’Eugenio Bertoldi che Lucia gli aveva nominato più volte, commilitone al battaglione Monte Suello del 5° rgt° alpini e che si erano rincontrati al Raduno degli alpini a Napoli nel 1929 e lavorando entrambi in tale città si erano ripresi a frequentare colle rispettive famiglie per i successivi 10 anni. Su quei fascicoli della Storia degli alpini dove in quel primo fascicolo si parlava dell’ideatore degli alpini capitano Perrucchetti, del 15 ottobre 1872 come data di inaugurazione del Corpo, del capitano Davide Menini e la sua leggendaria marcia per omaggiare la Regina Margherita, finito poi nelle lande africane come cte del btg.speciale alpini d’africa dove gli alpini avevano avuto il suo doloroso battesimo del fuoco nella battaglia di Adua e lui vi aveva trovato la morte . Sette giorni di attesa, a letto con febbre e una mascella che si era gonfiata abnormemente tanto che la madre, che era venuta ad accudirlo, lo chiamava Soraja, per leggere il secondo fascicolo tutto sull’epopea più accreditata degli alpini, la guerra del 15-18, il Pasubio, il Grappa e la sterminata varietà di canzoni che Lucia conosceva quasi tutte e nelle versione originali dei veci di quella guerra, senza fronzoli o rime baciate, ma essenziali e crude tipo “la Smortina “l’ho baciata che era ancor calda …e la spuzzava de sgnappa e de vin” o la disinvolta “bella mora” che non si sa bene se sta di qua o di là del ponte, ma di certo coi veci alpin si dà alquanto da fare, anche se magari proprio sulle prime ci aveva provato a far la ritrosa “mi si che vegneria per una volta sola, però ti prego lasciami stare che son figlia da maritar…” eh questa il vecio indurito da Shranapels, assalti, trincee e allarmi, proprio non gliela può far passare “se sei da maritare…” gli fa perentoriamente “dovevi dirlo prima, ma molto prima…sei sempre stata coi veci alpin, non sei figlia da maritar!” Questi benedetti orecchioni non sono comunque una cosa così leggera , prima si gonfia in maniera mostruosa una parte della faccia e poi quella opposta, la febbre è scesa sui 37 e mezzo, ma la completa guarigione è alquanto lunga e laboriosa, esce il terzo inserto dove si parla della campagna d’Etiopia che pure nonno Mario aveva fatto richiamato come 1° capitano nella Divisione Pusteria e assumendo il comando della X colonna salmerie partecipando alle battaglie dei Laghi Ascianghi e di Mai Ceu e aveva riportato a casa vari cimeli dallo scudo etiopico con il quale lui bambino aveva giocato tutta l’infanzia alle lancie dei Galla e ai paramenti dei fileutari etiopici e si parla anche della seconda guerra mondiale, della Grecia con la Vojussa e il Ponte di Perati e il sacrificio della Julia, quindi della Russia con i combattimenti sul Don e soprattutto l’epica ritirata con la battaglia di Nicolajewka. Esce il 4° fascicolo, che parla della guerra di Liberazione, tema che invero lo interessa ancor meno della 2^ guerra mondiale fascista, 
dove oramai non c’è più nessuna parte della faccia gonfia: passata l’emergenza, molto ridimensionato l’interesse , anzi un pomeriggio viene a trovare la nonna e quindi anche lui e la madre che ancora è a Palermo, la signora Campailla moglie del famoso medico orecchie/naso/gola che non c’era mai stata troppa simpatia con lui, e viene con le due figlie Rosalia e Clara: la prima del tutto indifferente, ma la seconda ….eh! la seconda siamo sul trubolo. Lo aveva subito sconvolto Clara fin dalla prima volta che l’aveva vista alle capanne di Laddaura nel 1955, costume in due pezzi (per l’epoca quasi scandalo) i capelli biondi tagliati alla maschietta, la pelle abbronzata che sembrava oro antico… e ancor più col suo ritorno a Palermo nel ’57 dove lei era diventata proprio una folgore coi suoi 16 massimo 17 anni; l’anno seguente nel ’58 aveva provato a scherzarci un po’ lì al mare offrendosi di detergerle i piedi della sabbia della spiaggia e lei si era lasciata fare con un certo compiacimento….dio!!!! proprio una tortura, un nodo gli aveva serrata la gola e non riusciva a deglutire ed il bello è che lei si era perfettamente resa conto del turbamento che aveva indotto nel ragazzetto . L’anno seguente si era fidanzata col bel Giacomo, uno dei più fascinosi ragazzi di Palermo ed erano assurti a “La coppia più bella di Palermo” e quindi niente più giochetti coi suoi piedi…..ora però si ripresentava colla madre e colla sorella, in quel fine marzo del ’63 e forse memore di quell’estate gli portava in dono un libretto che non era poi così casuale : una novella di un certo Jensen con il commento e interpretazione di uno studioso davvero d’eccezione, che lui aveva solo sentito nominare: Sigmund Freud . Di certo Clara era stata indotta a portargli quel libro, memore del suo fortissimo interesse per i suoi piedi, che poteva benissimo assumere, specie trascorsi qualche annetto che lo avevano orami fatto un aitante giovinotto, un connotato generale, e difatti dato il tema cui si correlava il recente film Lolita, quella scena iniziale del piede di lei, lo smalto che Humbert Humbert le dava sulle unghie, la realtà esperita di Clara a Mondello ed anche quella di altre fanciulle oggetto di grande malia: le tre “L” del ’57 Laura, Letizia, Lucietta, sembravano costruire quella esperienza comune atta a recepire con straordinaria enfasi la dotta e inusitata esplicazione del Grande studioso Viennese Si gettava quindi nella letture del libello con un entusiasmo che andava moltiplicandosi ad ogni riga – mai e poi mai gli era capitato di leggere un qualcosa con tanta passione e interesse; davvero era come se avesse un dio dentro (en Theos da cui appunto la parola entusiasmo )…. altra grande e gradevole sorpresa che si aggiungeva alle altre esperite nei giorni di quella misteriosa malattia… l’aspetto fisico, ora che entrambi lati del volto si erano sgonfiati, misurando l’altezza lungo lo stipite della porta era impressionante vedere il trattino segnato a gennaio cui corrispondeva una misura di 173 cm. sotto quello appena registrato di 178 cm., ovvero un incremento di altezza di ben 5 cm. Felice al settimo cielo ritornava alla scuola dove stava preparando il salto dei due anni per la licenza ginnasiale 
dove ritrovava i pochi compagni, in particolare ritrovava Elianna come lui del ’48, magrolina, un po’ ossuta, altina, cogli occhiali, i capelli un po’ crespi di indefinito colore tra il castano e il biondo rossiccio, che ora dopo la lettura di quel libello e tutta la buriana trascorsa di quella malattia vedeva con tutt’altri occhi. Nella ripresa degli studi aveva difatti preso a cercare continui motivi di familiarità con lei: la mano sulla spalla, il giocare coi suoi riccioli, guardarla intensamente, tenerla per mano. Tutte cose che a lei, bhe si!!!!facevano non poco piacere e, lusingandola in maniera evidente, dato che lui, specie ora, dopo uscito dalla malattia, si era fatto un tipo davvero attraente e lei ne subiva una certa fascinazione. Avvicinandosi il periodo degli esami essendoci altri 4 studenti che preparavano il salto, un’altra ragazza che si chiamava Adriana e due maschi Paolo e Roberto , si erano cominciati a vedere nelle rispettive case e alla fin fine ce l’aveva fatto a rimanere solo con Elianna in casa sua dalle parti dei “Leoni” . la madre aveva fatto loro il tè con un ciambellone e poi si era defilata ma sempre ovviamente a portata; lui la carezzava sempre e aveva preso a darle anche dei piccoli baci sul collo e le guance, finchè un certo giorno di fine maggio l’aveva baciata in bocca muovendo la lingua come si era allenato a fare sulla mano. Torna a leggere libri di Freud che tanto lo aveva entusiasmato: quello di un sogno d’infanzia di Leonardo da Vinci, che trova pure entusiasmante e poi un altro che letteralmente lo sconvolge Totem e Tabù dove ha il chiarimento di un antico quesito che si era sempre posto e che per tre anni gli aveva impedito di ultimare i corsi di catechismo, dai quali veniva allontanato e bandito con l’accusa di blasfemo: quello dell’origine del Peccato Originale. Ecco finalmente nel saggio di Freud tutto è disvelato: la teoria dell’Orda Paterna come origine del senso di colpa correlato al peccato originale. Il 9 giugno era il suo compleanno, compie 15 anni e va a studiare a casa di Elianna ove la mamma gli fa trovare una torta e del marsala all’uovo, poi la signora dice che deve uscire per un attimo: in casa c’è solo la vecchia nonna seminferma che non si muove mai dalla sua stanza e questo lo spinge , anzi li spinge ad essere più arditi: lei si fa infilare la mano nella camicetta a carezzare i seni e i capezzoli che si sono fatti turgidissimi e non gli impedisce di arrivare ad oltre le mutandine, con l’altra che è letteralmente fradicia di secrezione che la vagina va producendo sulla fortissima eccitazione . per un secondo si fa vedere completamente nuda , ma poi la paura che qualcuna, madre possa tornare, nonna tutto sommato possa aprire la porta la fa rivestire e gli concede di baciarle i piedini nudi che lui lecca dita per dita, sotto la pianta , dappertutto e poi si tira fuori il suo.... che sta per scoppiare e glielo mette tra i due piedi finchè non ha un orgasmo esplosivo che le imbratta di sperma entrambi i piedi; si rivestono in fretta e fanno bene perché appena qualche minuto dopo la madre rispunta . lei non si pulisce neppure della copiosa sborra i piedi di cui sono tutti imbrattati e li infila così nei sandali Torna verso casa ancora eccitato pensando a lei tutta nuda come per un attimo si era fatto vedere e poi al piacere supremo quando le era venuto tra quei deliziosi piedini.Gli esami iniziano in questo turbamento ormonale e psicologico che sostanzialmente altro non è che un consuntivo di quanto occorsogli da quel pomeriggio del marzo scorso.




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