giovedì 18 marzo 2021

KANT E NON HEGEL - CRITICISMO NON IDEALISMO

 

Kant è Kant non è mica un imbecille come Hegel. In effetti ricordo che all'inizio della 3^ liceo non riuscivo a capacitarmi che il mio nuovo professore di filosofia asserisce che avrei dovuto dimenticarmi il Criticismo e concentrarmi sull'Idealismo. "Non lo farò mai, e glielo dimostrerò che tra i due c'è un abisso" e lo feci e sai cosa più della dialettica, più del reale è razionale, più delle vacche nere e più del suicidio dell'arte nella filosofia, mi convinse che il filosofo dello spirito era un mentecatto idealista, molto simile ai religiosi di trait d'udienza con l'incalzante scientismo della Rivoluzione industriale? Quando dopo la battaglia di Jena entrò in quasi sindrome di Stendhal, vedendo passare Napoleone sul suo cavallo bianco "ecco lo spirito della storia!" Esclamò...pensa che toppata : uno completamente costruito e gonfiato dai 5 del Direttorio del 1796/97 e tenuto in piedi dalle menzogne dei bollettini delle campagne e da una proto stampa mediatica
"La scienza della matematica offre il piu' brillante esempio di come la pura ragione possa con successo allargare il suo campo senza aiuto dell'esperienza!" Con questa breve citazione ci cimentiamo all’interno del pensiero di uno dei più grandi filosofi moderni, Immanuel Kant. Nel 1724 nella città di Konigsberg venne alla luce, da una famiglia modesta, il padre del “Critcismo”. Kant per tutta la sua esistenza non si allontanò mai dalla sua città natale, leggenda vuole che i concittadini regolassero l’orologio quando, nelle sue passeggiate, attraversava una strada o una piazza. Immanuel fu un grande studioso, formatosi su scritti aristotelici, pietistici, wollfiani, all’età di ventisette anni s’imbatte in uno scritto di Thomas Wright. In quell'articolo uscito su un quotidiano di Amburgo, Wright propose una visione di un universo molto interessante, infatti proprio quattro anni dopo nel 1755 Kant fece uscire anonimo “Storia Universale della natura e teoria del cielo”. Inizialmente lo scritto non ebbe molta risonanza pubblica, se ne ritornò a parlare un secolo dopo quando, ad una conferenza, Hermann Von Helmholtz lo sottopose all’attenzione degli astronomi. Nella sua opera Kant teorizza l’ipotesi di una formazione del sistema solare causata da una nebulosa originaria, ma la qualità più straordinaria della “Teoria del Cielo” di Kant fu il carattere evolutivo “Si trattava di un cosmo che cambiava nel tempo, a mano a mano che le stelle nascevano e morivano. Il suo universo era infinito, perciò non aveva un centro.” L’idea di Kant venne ripresa e portata avanti, nel 1796, dal fisico francese Pierre-Simon-Laplace, oggi la loro formulazione va sotto il nome di “ipotesi di Kant-Laplace". La curiosità di Kant lo portò a studiare la scienza del tempo e forse è proprio grazie allo studio delle nuove visioni scientifiche che i suoi studi lo portarono ad interrogarsi sul modo in cui l’essere umano sì avvicina alla conoscenza. Le opere più originali vennero pubblicate quando oramai Immanuel era già in età avanzata, nel 1781 venne portata alla stampa “La critica della Ragion Pura” e nel 1788 vide la luce la “Critica della Ragion Pratica”. Lo scopo della prima opera kantiana fu di andare alla ricerca di quei principi che sono la causa del conoscere, ed egli si chiese se essi possono essere applicati a materie come la Matematica, la Fisica e la Metafisica. Nel fare ciò egli arrivò a distinguere i giudizi in, giudizi analitici (verità di ragione) e giudizi sintetici (verità di fatto). Kant attraverso l'analisi dei giudizi vuole scoprire se possano esistere dei giudizi sintetici a'priori, cioè proposizioni indipendenti dall'esperienza e che possono aumentare la nostra conoscenza: ad esempio, 5 + 7 = 12, in cui i due addendi possono essere concepiti a'priori e il segno addizionale è la sintesi. Con questo esempio, riportato anche da Kant nell'opera, ci aiuta a capire che quando vi è un'intuizione vi è conoscenza. Nello studio delle intuizioni il filosofo va alla ricerca di quelle intuizioni chiamate pure, cioè oggetti senza materia e a'priori con una semplice forma della sensibilità. Kant individua solo due intuizioni, lo Spazio e il Tempo, il primo proviene dai nostri sensi esterni e ci permette di localizzare le cose, mentre il secondo appartiene al senso interno e si muove per successioni di prima e dopo. Secondo Kant la Geometria è la scienza che si basa sullo Spazio, ovvero partendo da dei postulati (ad esempio i postulati euclidei) mi permette di aumentare le mie conoscenze. Se nella “Critica della Ragion Pura” ogni possibile principio conoscitivo doveva essere fondato su una qualche intuizione sensibile (Spazio e Tempo), ogni condizione causale poteva essere conosciuta come un fatto reale nel mondo Fenomenico, mentre il mondo Noumenico era stato lasciato intravedere solo come una possibilità (supposizione). Nella “Critica della Ragion Pratica” Kant ci mette davanti ad un fatto, e cioè al fatto che la Volontà è autonoma e che essa deve essere il fondamento della “Legge Morale”. In questo modo ci permette di conoscere positivamente qualcosa che va oltre il mondo sensibile, ovvero qualcosa che va oltre il mondo fenomenico e che risiede nel mondo noumenico delle cose in sé “La legge morale cerca di plasmare il mondo sensibile, secondo la legge morale stessa.” La nostra natura soprasensibile, per Kant, ci si rivela nel momento in cui, noi prendiamo consapevolezza della nostra autonomia (autonomia della ragion pura). Il fatto che noi siamo autonomi ci rende consapevoli che non siamo solo esseri sensibili, ma siamo anche aldi là del mondo naturale e siamo capaci di influenzarlo. Hans Reichenbach nella sua opera “La nascita della Filosofia Scientifica”, porta una critica alla costruzione del pensiero kantiano ma riconosce che le sue opere sono le ultime rappresentazioni di tesi avanzate dal razionalismo “Secondo Kant gli assiomi dell’etica sono sintetici a’priori, come quelli della matematica e della fisica. Nella sua Critica della Ragion Pratica egli cercò di derivarli in modo analogo a quanto aveva fatto nella Critica della Ragion Pura per i principi fondamentali delle scienze matematiche e fisiche. L’importanza di Immanuel Kant venne riconosciuta da molti scienziati, ad esempio David Hilbert nella sua “Fondazione della Geometria” inserì nell’introduzione una famosa frase del filosofo “Ogni conoscenza parte da intuizioni, procede attraverso concetti e culmina nelle idee.” Un altro grande scienziato come Albert Einstein mentre seguiva lezioni all’università di Pavia, senza essere iscritto né fare esami, leggeva Kant e come sappiamo il fisico riprenderà e dimostrerà nella sua teoria che Spazio e Tempo sono entità interconnesse

mercoledì 17 marzo 2021

DA NICOLO' V A SISTO V

 

La nazione, la città, e spesso e volentieri anche il quartiere, la strada dove si è nati , hanno per lo più, una rilevanza particolare nella storia della nostra vita e ne costituiscono una sorta di paradigma a proposito delle “visioni del mondo” . Sembrerebbe a primo acchitto una visione strettamene soggettiva, contingente e particolareggiata, affettivamente coinvolgente e suscettibile di interpretazioni che possono essere sia positive che negative, ma come vedremo si carica, si può caricare di valenze che mettono “in gioco” elementi quanto mi oggettivi, a volte addirittura “universali” Di solito il rapporto col proprio luogo di nascita e dove si è cresciuti, in particolar modo nell’infanzia, ha un’ulteriore valenza di significanza, Jung ha parlato di “numinosità” e Freud..., bhe Freud ha definito l’infanzia il paradiso terrestre di ciascuno di noi, “somiglia all’eternità l’infanzia”...con il suo tempo dilatatissimo quando un giorno durava quasi all’infinito e il sole in cielo sembrava non voler tramontare mai… e non solo, ma topicamente, il mondo, tutto il mondo era lì sotto il balcone e bastava allungare una mano per afferrarlo tutto. Forse per questo tutte le cose che rientrano, che facciamo rientrare nell’infanzia, hanno un carattere quasi magico! Ecco!!!! ha ragione Jung … “numinoso” dove le cose, le immagini, le persone, i fatti, anche i nomi, sono come “numi”, un che di divino che assorbiamo dentro di noi e quindi si rivestono di entusiasmo “en Theos”.
Il nome della strada dove siamo nati e cresciuti e magari abbiamo vissuto la nostra infanzia, si carica di tale entusiasmo e anche quando quella è solo un ricordo sfumato: è sufficiente richiamarlo alla memoria per accedere a tutte le sensazione relative di entusiasmo e numinosità . Chiamare per nome, significa, diceva qualcun altro, “evocare, chiamare in assenza”: siamo cresciuti, diventati grandi, il sole non sta più la’ in cielo solo per noi, i caschi di glicine non si inchinano più al nostro passaggio , e il balcone, si il balcone non ha più l’altezza dell’Olimpo dove dimoravano gli antichi dei, però quel nome, con tanto di targhe toponomastiche, via dei matti numero zero, rue de l’ancienne comedie, zlata ulice, marienburger strasse, charing cross road, si caricano tutte di valenze di un fascino misterioso che si rivolge solo a noi. Succede a volte che il nome di tale strada è un nome che per una serie di circostanze viene ad assumere valenze più composite dove magari la suggestione propria della numinosità dell’infanzia si coniuga a questioni di conoscenza e interesse. E’ il caso dell’autore del presente articolo Mario Nardulli che la strada della sua infanzia si chiamava Nicolò V: mai durante l’infanzia ci si era soffermati su tale nome, forse a mala pena si sapeva che trattavasi di un Papa; via Nicolò era la strada dove la famiglia si era stabilita assai prima della sua nascita, nel 1938, quando il suo omonimo Mario Nardulli che era un funzionario dell’Opera Nazionale per i Combattenti (O.N.C.) l’Ente che si occupava delle Grandi Bonifiche, dopo anni di vagabondaggio per varie cittadine sulla scia di quei lavori, da Licola al Lago Patria, a Littoria, a Sabaudia, e anche i richiami da ufficiale superiore che lo avevano portato in Africa orientale durante la campagna del ‘35-36 con la Divisione Alpina Pusteria e anche in quella settentrionale (Libia) dove aveva comandato i Presidi di Giado e Gadames giurisdizione del XX C.d’A. Div. Sabrhata, colpito dal quadro di Picasso “Guernica” non si era fatto rassicurare dalla cosidetta “pace” salvata (si fa per dire) da Mussolini alla Conferenza di Monaco, e convinto che prima o poi una guerra sarebbe comunque scoppiata, aveva scelto di stabilirsi in una zona vicino al Vaticano “così staremo certi” aveva detto alla moglie e al figlio Lucio ”che nella città del Papa non bombarderà nessuno!” Proprio Guernica e anche certi raid sulle città dell’Etiopia, di cui aveva valutato “de visu” la distruttività sulle popolazioni civili, lo avevano indotto a tale risoluzione “la guerra non sarà come quella passata” diceva ” che il rombo del cannone lo si poteva sentire da Verona, da Marostica da Udine o Monfalcone, ma mai shranpels o i colpi di cannone erano arrivati a lambire il centro abitato….”la prossima sarà una guerra che coinvolgerà tutti, non solo i soldati al fronte”. Via Nicolò V aveva questa origine, di cui il nipote aveva sentito più volte, ma che per lui era la palazzina giallo ocra al numero 50 con la contigua gemella, interrotta da una discesa in sampietrini e fiancheggiata da caschi di glicine (quelli che idealmente accompagnavano i suoi passi quando si indentrava verso lo slargo dove c’era la casa di una ragazzetta di cui a mò di Dante con Beatrice, si era perdutamente innamorato all’età di 9 anni), c’ era, poi giù in fondo, la grande scalinata che costeggiava le antiche Mura e fiancheggiata dalla contorta e ripida salita detta “la Gajardona”, c’era la mole della Cupola di san Pietro che la mattina al risveglio riempiva lo scenario, appena venivano aperte le persiane, ed era anche gli amici con cui si giocava a “nascondarella” a “uno monta la luna”, ed infine quei personaggi dai soprannomi impossibili “zi ghe bake” il padre di un amico che aveva un taxi, ma se l’era giocato alle corse dei cani, Alvaro “er matto” Desiderio “il lupo mannaro” , “Maria Zozzetta”che era una specie di barbona che a cadenze mensili attraversava la strada “la pisellona” di cui non aveva mai capito il perché di quell’epiteto, ma soprattutto era il ricordo, luminosissimo del nonno ed omonimo, che col cappello colla penna bianca, gli stivaloni con gli speroni su cui si impigliava la grande mantella fuori ordinanza, si stagliava nell’abitato, ricordo non solo suo, ma di tutta la strada, specie dopo quel giorno di giugno del ‘44, in cui sebbene convalescente per ferite riportate in guerra, si era rimesso l’uniforme di Colonnello e si era presentato al comandante della Wermatch, che voleva far brillare un carro armato bloccatosi proprio a ridosso della “Villa” dei Morelli e pregiudicava la ritirata delle truppe tedesche lungo l’Aurelia, e con fare fermo, da vecchio soldato, alla Caviglia non certo alla Badoglio, ovvero che non si era strappato i gradi dalle maniche e gettato l’uniforme alle ortiche, ma con fierezza e piglio , la penna bianca sul cappello, la mantella che si impigliava sugli speroni ...“lei è un ufficiale della Wermacht, non una SS…” lo aveva convinto a farlo rotolare lungo la discesa che dava alla ferrovia, sì da non arrecare alcun danno alla Villa e alle costruzioni prospicienti.
Nicolò V, anzi con il nome con due “c” Niccolò V, lo aveva ritrovato quando si era iscritto in architettura e si era andato ad occupare dell’origine della Roma papalina , anche detta la “seconda Roma” e quale la sua sorpresa e piacere nell’apprendere che il papa Niccolò V al secolo Tomaso Parentucelli (1397-1455) era stato proprio lui l’iniziatore della complessa operazione urbanistica che dalla ristrutturazione della Basilica di san Pietro al Vaticano (quella che diverrà la “fabbrica di San Pietro”) aveva innescato tutti gli interventi nel corpo della città: da quelli iniziali di sistemazione delle strade di accesso nel quartiere detto alla tedesca “Borgo” in quanto sede di truppe mercenarie appunto di origine germanica, per indentrarsi nel corpo della città antica ancora di impianto romano, grosso modo concentrata nella grande ansa del Tevere, frontale al Colle Vaticano e all’antica fortezza dell’Imperatore Adriano, ovvero quello che diverrà Castel Sant’Angelo, percorrendola appunto tutta, con il recupero di antichi assi romani e innescando un vero e proprio sistema che fungerà da modello a tutta l’urbanistica dei secoli successivi e non soltanto a Roma. Niccolo’ V fu anche il prototipo del “papa-umanista”, sotto di lui difatti tale movimento ebbe uno sviluppo inusitato con la convocazione presso il Papato di importanti artisti e studiosi come Lorenzo Valla, Poggio Bracciolini , Flavio Biondo, Andrea del Castagno, Piero Della Francesca, Rogier Van der Weyden, e in particolare gli architetti Bernardo Rossellino, che legherà il suo nome all’unica città interamente progettata con il nuovo strumento della “prospettiva : “Pienza” e Leon Battista Alberti, uno dei più colti progettisti dell’epoca, equiparato al Brunelleschi come impostazione teorica , che dedico’ al pontefice il suo trattato “De re aedificatoria” . Furono proprio questi due artistiti che studiarono la “sistemazione dei Borghi” ovvero l’accesso alla Basilica di san Pietro che doveva diventare il faro e il simbolo stesso di tutta la Cristianità. Non è attestato con certezza, ma pare che l’Alberti avesse pensato a tre strade porticate che dalla Basilica puntavano al Castel Sant’angelo, per ribaltarsi dalla quinta prospettica del Ponte, oltre il fiume in altre tre strade che a ventaglio si aprivano sul corpo dell’abitato urbano concentrato nell’ansa del Tevere, l’esecuzione effettiva sembra però che fu relizzata dal Rossellino che si limitò a sistemare l’unico asse che collegava Basilica con il Castello, il cosidetto “Borgo Vecchio” facendone a sistema non due, ma una sola strada (il Borgo Nuovo) e dando così avvio a quella che verra’ denominata “la spina di Borgo” ; in quanto alle tre strade che dovevano come rispecchiarsi oltre il fiume nell’ansa del Tevere, anche se non porticate, rimasero e andarono a costituire il cosidetto “piccolo tridente” che sarà quasi a prodromo del “Grande tridente” quello che si verrà a costituire nel secolo successivo, con epicentro in piazza del Popolo.
Insomma alquanto esaltante, l’andare a scoprire che il nome della strada che aveva contrassegnato l’infanzia era quello di un personaggio che aveva per così dire avviato la formazione della Roma che tutti conosciamo e che come “forma urbis” è ancora, fatte salve alcune modifiche - la costruzione della Cupola di Michelangelo a ideale suggello di simbolo della Cristianità, il Colonnato del Bernini come apertura avvolgente dei due bracci, e molto dopo, la distruzione della spina di Borgo, la via della Conciliazione - perfettamente riconoscibile. Una prassi di intervento urbano che costituisce un vero e proprio paradigma, iniziata con l’Alberti e il Rossellino che ha una sorta di equazione algebrica “a+b+c = zero o infinito, di perfetta sequenzialità:
1° = sistemazione dei Borghi come primo anello di una catena significante a livello di una topica di sviluppo urbano;
2° = razionalizzazione dell’antico abitato su base del piccolo tridente di Ponte Sant’Angelo e la riqualificazione di antichi assi romani ( via del Governo Vecchio, via dei Banchi Vecchi, via dei Coronari);
3° = enfatizzazione dell’unico asse nord sud della Roma imperiale, quello che si prolungava nella “via sacra” ovvero l’originaria Via Lata;
4° = a sistema con questa un asse di penetrazione nel nucleo antico (la via Leonina, poi via Ripetta) ed uno invece di espansione per le salubri zone, verso i cosidetti “Monti”(la via Paolina Trifaria, poi del Babbuino) ed infine a perfetta concusione del paradigma e segno del “Tridente” un asse diretto che lo intersecava : la “via Trinitatis” ( via Tomacelli, via dei Condotti) che collegava vecchia e nuova città, confluendo su quella che ancora oggi è denominata “Trinità de’ Monti”;
5° = la sistemizzazione di tutto questo processo ad equazione, con il grande piano di un altro grande Papa che ha impresso alla città di Roma il suo segno più duraturo , ovvero grandi assi come vere e proprie direttrici di sviluppo, con il collegamento di quinte prospettiche di forte impatto e visività, attraverso lo strumento prospettico del punto di fuga. Stiamo parlando del grande “piano Sistino” modello di tutta l’urbanistica a venire e Sisto V, il Papa che lo ideò con il concorso dei più grandi artisti, non più dell’Umanesimo, ma del Rinascimento fu indicato in una pasquinata (la statua parlante di Roma, la voce del popolo), una volta tanto con un epiteto non di critica o sberleffo, ma di ammirazione “ER PAPA TOSTO”….“fra tutti ch’hanno avuto er posto de vicari de dio, nun s’è mai UN visto un papa rugantino, un papa tosto, un papa matto, eguale a Papa Sisto”

domenica 14 marzo 2021

IL CUORE E LE SUE EMOZIONI

 

Il libro "Cuore" di Edmondo De Amicis,c'è la tendenza in questo periodo di revisione buonista e sinistrorsa di considerarlo una summa di retorica patriottarda e indubbiamente un titinin melenso lo è ; sarà !!!!! però essendo stato il mio primo libro in assoluto, non riesco a dirne male, anzi..... probabilmente solo un romanzo di Thomas Mann o un saggio di Freud, ha avuto tanto impatto nella mia vita. Quanto ho pianto, di nascosto, leggendo le varie novelle, il piccolo scrivano fiorentino, dagli Appennini alle Ande, il tamburino sardo e quanto mi sono identificato con il protagonista Enrico, raccordandovi tutta la mia classe microcosmo di macrocosmo delle elementari, la Marinelli, bhe c'è da sottolinearlo, la maestrina dalla penna rossa, il più bravo che aveva anche un nome simile Di Legge invece di De Rossi, e Garrone, non c'era anche lui in classe? il più grande e protettivo Lunadei! Franti era Gnocchetti che una volta diede un morso sulla mano alla Marinelli, e c'erano tutti gli altri, uno per uno, come scolpiti e incarnati, Nobis che era Inzitari che veniva accompagnato
dall'autista, Precossi, uh se ce ne erano di simili a Precossi, il Muratorino che faceva il muso di lepre e che non posso non identificare in Scannavino, che anche a me sfotteva di sovente e poi c'era Votini con il padre che aveva combattuto nel famoso Quadrato di Villafranca e riconosciuto da Umberto gli aveva stretto la mano e quegli l'aveva subito porta al figlio per fargli sentire sentirne ancora il calore (una scena/immagine che per me è rimasta indelebile, perchè vedi, nei miei sogni iperproibiti, del tutto impossibili, c'è sempre l'immagine di un Re buono e giusto cui raccordarsi,e Umberto è quanto mai idoneo a ricoprire tale ruolo; poi magari ci mettiamo a leggere e ci documentiamo su quell'Ordine di Savoia dato al Gen. Bava Beccaris, ed allora l'incanto si rompe, ma non si rompe l'emozione che aveva suscitato quella scena. No non c'era la campagna del '66, il Quadrato di Villafranca, in realtà la criminale incompetenza dei due generali comandanti in capo Cialdini e La Marmora che propiziarono la disfatta di Custoza nella mia infanzia, però c'era la mia casa di Via Nicolò V che era un museo della prima guerra mondiale e anche in parte della campagna d'Etiopia per via di mio nonno, come me Mario Nardulli, che vi partecipò in entrambi come ufficiale degli alpini la prima nel battaglione Monte Suello del 5° alpini(Sottotenente, Tenente e Capitano) la seconda nella 5^ divisione Valpusteria (1°Capitano, poi Maggiore cte della X Colonna Salmerie ) e ci fu per poco tempo all'esterno nel '56-58 una ragazzo che abitava a fronte del mio palazzo n.50, di cui ricordo solo il nome Filippo che aveva un padre vecchissimo che portava sempre un copricapo tipo Garibaldi, tutto ghighirogato, per coprire il cranio su cui si diceva c'era la terribile cicatrice di una pallottola Dum dum che aveva ancora conficcata nella testa;
ebbene anche questo vecchissimo padre di un compagno di classe, aveva preso come Umberto a Custoza, la medaglia d'oro e fu portata in un cuscino da un drappello di Granatieri al funerale che passava per via Nicolò, quando morì (si disse, perchè un pezzo di quella pallottola Dum Dum gli era esplosa in testa). Dopo quel suggestivo funerale con la bara avvolta nel tricolore e la medaglia d'oro in un cuscino amaranto che portava un
sottotenente e che mi lasciò una duratura impressione. La madre di Filippo che era una specie di Governante del vecchio signore dalla quale si diceva che quegli aveva avuto un figlio, e che era stato indotto a sposare, se ne andò con quel mio antico compagno di scuola di cui non ho mai saputo più nulla.

sabato 13 marzo 2021

C'E' ANCHE UNA SOCIOFIA

 
Da Mario Haussman e dal suo MANIFESTO DELLA SOCIOSOFIA traggo queste note sulla farmacologia e la medicina allopatica trovandomi ovviamente pienamente d'accordo : "le aziende farmaceutiche, coadiuvate da istituzioni “rinomate e filantropiche”, hanno utilizzato qualsiasi mezzo per piegare la legislazione a loro favore. Spesso i disegni di legge in materia sanitaria vengono scritti direttamente dai colossi del settore. E la sanità pubblica sembra avere una porta girevole con gli interessi dei giganti farmaceutici, tanti sono i personaggi che si alternano sulle poltrone dei livelli dirigenziali di entrambe.
Dunque, lungi dall’avere a cuore la nostra salute, l’apparato sanitario ha tutto l’interesse che la gente sia ammalata e che alimenti i consumi dei prodotti della grande industria medicale. Comunque si voglia vedere la questione, rimane il fatto che l’ammalato è un affare lucroso e che la salute non è e non è mai stata il fine della medicina allopatica.
Ivan Illich affermava che la medicina moderna è “la negazione della salute”, e constatava che essa era organizzata in maniera da non essere al servizio della salute ma solamente di se stessa come istituzione. Il fatto che la sanità intera, a partire dallo studio della medicina, sia tutta un business, è una tragedia la cui portata viene normalmente sottovalutata.
Il matrimonio della finanza con la politica ha guastato l’integrità scientifica da molto tempo. Dirigendo la ricerca scientifica attraverso i finanziamenti, la logica conseguenza è che l’informazione divulgata corrisponda alle aspettative di chi paga. Anche gli scienziati “indipendenti” devono avere chi paga loro da vivere. E il cittadino medio a chi deve credere? Al medico che gli prescrive la cura, della quale egli percepisce gli effetti negativi e sente che, se da un lato fa bene, da un altro fa male, oppure a coloro che la propaganda medica del sistema ha sempre definito dei ciarlatani? All’opinione pubblica è stato detto di tutto, per esempio, prima che la margarina fa bene, e poi che fa male. Gli hanno raccontato che i dolcificanti fanno bene, e poi scopre che fanno malissimo. E quanti rimedi per abbassare il colesterolo sono stati proposti che poi risultavano inutili? Per poter giudicare, la gente deve poter comprendere. I media ripetono ai cittadini in continuazione che essi sono degli analfabeti scientifici e che quindi non potranno mai penetrare il misterioso mondo dei farmaci: l’unica possibilità che hanno i cittadini è di fidarsi degli esperti.
Ma se anche fosse vero che la comprensione del funzionamento dei farmaci è preclusa ai più, ognuno può cercare di comprendere come funzionano l’industria e il sistema che essa ha creato.
Ciò che il sistema sanitario plutocratico teme di più sono cure efficaci. Dove c’è salute non si fanno profitti. Solo la malattia induce gli utili.
La ricerca in questo campo viene finanziata soprattutto dai grandi interessi legati all’industria della malattia. Che cosa succederebbe se la ricerca trovasse qualcosa che riducesse notevolmente il numero di malati e di conseguenza i profitti? Infatti, decisamente troppi sono gli esempi di scienziati che realmente hanno fatto scoperte che potrebbero ripristinare la salute di un gran numero di malati, e che sono stati messi a tacere, boicottati, corrotti, ridicolizzati o addirittura eliminati.
Tra il mondo accademico e quello finanziario non c’è un confine netto e gli interessi commerciali determinano completamente l’insegnamento delle scuole di medicina. Una gran parte della responsabilità di questo ricade sulla politica, che ha permesso allo Stato di stabilire a propria discrezione quale fosse l’unico approccio medico “vero” e di imporlo per legge. Il potere dello Stato ha operato una scelta, tra le tante possibili, e le macchinazioni del capitale internazionale hanno fatto in modo che la scelta operata dallo Stato fosse unicamente a proprio vantaggio, anche se ciò avesse incluso la sofferenza dei cittadini. L’industria farmaceutica è nata all’inizio del secolo scorso, e da allora ha assunto il controllo di tutti i sistemi sanitari del mondo, eliminando sistematicamente ciò che non poteva porre sotto il proprio controllo, ovvero i rimedi naturali non brevettabili. Basata sui brevetti dei farmaci di sintesi, quest’industria è stata sin dal suo esordio un’iniziativa di investimento ad opera di un esiguo numero di personaggi enormemente ricchi e totalmente privi di scrupoli.
Le politiche corrotte dei governi ispirate dalle sovvenzioni delle lobby hanno manipolato i sistemi sanitari a vantaggio delle corporation e sono responsabili della sofferenza e della morte di un numero incalcolabile di persone. Il cartello sanitario mondiale è una vera e propria “industria” di sofferenza, e più persone soffrono, tanto meglio è, poiché chi sta bene non paga per le cure.
La medicina allopatica, insegnata nelle facoltà universitarie, è più dogmatica di quanto non lo sia mai stata la Chiesa nelle ere buie. Essa si ritiene l’unica depositaria della sola verità, completa, eterna, immutabile e indiscutibile. Al contrario della Santa inquisizione, la medicina non può mettere al rogo i dissidenti, quantunque si ritenga in diritto di bandire ogni idea, sostanza, procedimento o prodotto che possa minacciare il guadagno dei suoi padroni accusando semplicemente di ciarlataneria chiunque osi dubitare dei suoi dogmi. Ovviamente in nome della “protezione dei cittadini”, ritenuti ignoranti e stupidi per antonomasia.
Durante la sua formazione, al medico viene negato l’accesso a un’informazione sanitaria obiettiva e in nessun caso può apprendere tutti i tipi di terapie, in modo da poter poi scegliere la più adatta ai suoi pazienti. Lo studente di medicina apprende unicamente quanto stabilito per lui dall’autorità, e ciò dà al sistema il pieno potere sul pensiero del medico, che viene ridotto a un semplice strumento dell’apparato sanitario, una rotella nel grande ingranaggio. Il medico, durante lo studio apprende tutto sulla malattia e nulla sulla salute.
In poche altre facoltà la materia di studio è così vasta. Questo impedisce di fatto allo studente di medicina di avere il tempo o l’energia di occuparsi di propria iniziativa di qualche altro argomento. Ogni cosa, nello studio che porta alla laurea in medicina, è predisposta in maniera tale da concedere allo studente meno libertà intellettuale che in qualsiasi altro percorso accademico.
Il sistema perverso, controllato dall’industria farmaceutica, forma i medici riducendoli all’acritica passività intellettuale, mentre perseguita ogni terapia che non rientri nei suoi rigidi schemi. Scriveva nel 1949 il pubblicista Morris Bealle a proposito delle facoltà di medicina: «Queste istituzioni accademiche insegnano naturalmente ai loro studenti il folclorismo farmacologico che le aziende farmaceutiche della casa Rockefeller desiderano».
Il fattore decisivo che caratterizza tutto il sistema è il suo fine di portare profitto ai suoi ideatori. Lo scopo di far soldi dei banchieri che guidano le aziende farmaceutiche è in netto contrasto con l’obiettivo di guarire del paziente. Il medico di solito si trova a dover mediare tra questi interessi contrastanti e inconciliabili.
(da "Il Manifesto della Sociosofia")

IL CAPOVOLGIMENTO DEL FUTURO ANTERIORE

il Wall Street Journal ha riportato un rapporto del governo Usa dove si afferma che "GLI STATI UNITI STANNO CAPOVOLGENDO LA STORIA, ...