UN MIO VECCHIO ARTICOLO CHE NON POTEVA ANCORA SUPPORRE IL LIVELLO DI MOSTRUOSA DISTOPIA IN CUI NEL TERZO MILLENNIO SAREBBE APPRODATO - MAGARI ECCO , SPECIE SUL FINALE, CI SONO DELLE PREVEGGENZE-AVVISAGLIE DI UN CRESCENTE DISAGIO, MA CERTO NIENTE CHE NON SIA STATO SUPERATO DAL PIU' IRRAZIONALE DEI REALI
Ci sono dei film, interi o anche pezzi, che sono rimasti come pietre miliari della storia e non solo del cinema: la scalinata di Odessa in La corazzata Potemkin di Ėjzenštejn, la quasi la totalità dei film di Ernst Lubitsch, con il suo famoso “tocco”, Renoir, Dreyer, l’Orson Welles di Quarto potere e de L’infernale Quinlan, Renoir, Renè Clair, Bergman, i fratelli Taviani, Fellini, Bogdanovitch, Kubrick e ovviamente Luchino Visconti, che con Ossessione, doveva accreditare la data di esordio del neorealismo italiano, un prodromo datato 1942, ispirato ad un romanzo americano “il postino suona sempre due volte” di James M.Cain, che il novello regista già a lungo assistente del grande Renoir, aveva piegato ad una straordinaria e inusitata descrizione dell’atmosfera della guerra in corso e della oramai ineluttabile decadenza del regime fascista; fu ancora Visconti, qualche anno dopo a filmare l’esecuzione del famoso criminale fascista Pietro Koch ed ebbe anche parte nella vicenda dell’uccisione di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, due attori che conosceva personalmente, ma nel dopoguerra doveva segnare vere e proprie pieces di opere di enorme valore tipo “La Terra Trema”, da un adattamento dei Malavoglia di Verga, “Bellissima” con una straordinaria Anna Magnani e certamente il miglior film mai realizzato sul Risorgimento “Senso” con Alida Valli; Con l’inizio degli anni sessanta aveva girato Rocco e i suoi fratelli, ma ecco che nel 1962 si misurava con il romanzo di Tomasi di Lampedusa “Il Gattopardo” che doveva segnare uno dei momenti più alti della cinematografia italiana. Ripreso da tale romanzo, che aveva avuto uno strepitoso successo nel 1958, e con il regista televisivo Ugo Gregoretti che sulla sua ambientazione vi aveva girato un documentario “La Sicilia del Gattopardo”, diciamoci la verità: “neppure lo vede al romanzo”, ed è forse uno dei pochissimi casi in cui un film supera e di gran lunga l’opera da cui si è ispirato. Visconti era di famiglia nobile, erede dei Visconti di Milano e giunto a Palermo aveva immediatamente contattato le più illustri famiglie della nobiltà Siciliana, coinvolgendole nella stesura del film e facendole entusiasmare a tal punto che a buon bisogno avevano fornito abiti originali, bicchieri, argenteria dei loro antenati. Il film risulta quindi di una precisione e veridicità massima; non c’è una sbavatura tutto è rigorosamente autentico, dal mobilio, alle posate, ai calici del vino e dello champagne che doveva essere rigorosamente originale, si da produrre le relative bollicine mentre si versava; tutto! gli abiti e le uniformi degli ufficiali, prima quelle dei Garibaldini del bel Tancredi/Alain Delon, che porta la giubba rossa coi gradi di Capitano, un giovanissimo Mario Girotti ovvero il futuro Terence Hill e Giuliano Gemma che ha i gradi di generale, poi in occasione del grande e famosissimo ballo, che fu girato al superbo Palazzo Gangi in Palermo, i militari con le divise sabaude alla francese del nuovo Regno d’Italia, capitanati dal Col.Pallavicini (Ivo Garrani) ovvero l’ufficiale che fece sparare a Garibaldi sull’Aspromonte, ove correttamente ritroviamo sia Alain Delon che Terence Hill retrocessi a Tenente, lasciando quindi intesa la famosa polemica in merito all’Esercito Garibaldino, denominato Esercito Meridionale, che fu proditoriamente sciolto e solo pochissimi vennero trasferiti nell’Esercito Regolare ma con un grado inferiore. Difficile prendere in castagna Visconti, certo non è Bertolucci o Olmi e tanti altri che di errori storici e di ambientazione ne fanno a iosa, persino Rosi in Uomini Contro che mette al famoso Generale Leone le mostrine sul colletto, cosa assurda.(eppure, proprio chi scrive, una piccola defaillance l’ha trovata nel (quasi) perfetto film di Visconti: Paolo Stoppa che interpreta meravigliosamente il cinico e opportunista Sedara si presenta al famoso ballo con appuntata sul petto la Croce di Cavaliere, croce che immediatamente Alain Delon/Tancredi, gli butta via affermando categoricamente “questa in un ballo del genere, non basta!” Ebbene la croce che Sedara portava sul bavero della giacca è quella della Corona d’Italia, nastrino rosso e bianco, istituita per le nozze di Umberto e Margherita nel 1868, ovvero 6 anni dopo i fatti di quel famoso ballo! l’unica Croce di Cavaliere al merito civile in quel 1862 era l’Ordine dei SS.Maurizio e Lazzaro, con nastro verde. C’è poi un’altra cosa che il film neppure sfiora, ma qui siamo non in una sbavatura, ma in una sorta di mancanza di considerazione, forse di dimenticanza, ovvero la grandissima rilevanza che proprio in quello stesso periodo, dopo i fatti di Aspromonte, stava cominciando a caratterizzare Palermo e la Sicilia: quella della vicenda di Giovanni Corrao, un palermitano che assieme a Rosolino Pilo, che gli era morto tra le braccia colpito da piombo borbonico, era stato il principale organizzatore delle “Bande di picciotti” che poi erano state le veri protagoniste della vittoria. Promosso generale Corrao si era dapprima rifiutato di accettare la perdita del grado e la nomina a Colonnello dell’Esercito regolare subito dopo Teano, per riprendere le armi appunto sull’Aspromonte di nuovo con Garibaldi, rimanendo però disgustato dal comportamento verso i Garibaldini e tornato a Palermo aveva cominciato a invocare la revoca dell’annessione del Sud al Regno e riprendere la guerra fino alla liberazione di Roma. Corrao rappresentava più di ogni altro l’incarnazione dello spirito laico e rivoluzionario del garibaldinismo e la sua figura aveva ben presto infiammato gli animi siciliani , costituendo un pericolo davvero fortissimo : era amatissimo dalle plebi e contava anche su amicizie di diversa entità che erano rimaste deluse dai due anni di appartenenza al Regno d’Italia. Per questo mi pare un po’ strano che Visconti nel suo film non vi abbia fatto il minimo cenno e neppure al suo assassinio nell’agosto dl 1863 in circostanze misteriosissime e che non sono mai state chiarite, ma che certamente hanno a che fare con il tipo di mafia che dismette la sua valenza puramente criminale, per cominciare quella sua relazione con il potere costituto che costituirà l’essenza stessa del fenomeno mafioso.Non è difatti un caso se Giovanni Corrao è considerato il primo ucciso di mafia della storia della Sicilia. Forse stiamo andando un po’ oltre il senso sia del romanzo che del film, pretendiamo troppo! Dobbiamo contentarci del Gran Ballo, coi suoi rutilanti costumi, con la sua perfetta ambientazione, con la musica e la leggiadria di Angelica, o magari della famosa frase del bel Tancredi/Alain Delon “si cambia tutto per non cambiare niente!” o delle sue boutades per terrorizzare l’emissario del Governo piemontese, il mite e pacioso signor Chevalley che era venuto ad offrire un posto di Senatore al Principe di Salina,inventandosi provocatoriamente storie di raccapricciante violenza e barbara crudeltà del popolo siciliano. Dobbiamo anche contentarci del discorso del principe di Salina, che poi è il senso stesso che dà titolo al romanzo e al film, laddove certo detto dall’interpretazione sublime di Burt Lancaster, assume una valenza straordinaria: E’ difatti proprio lui il Principe di Salina/Burt Lancaster, che spiega al povero Chevalley lo spirito della “sicilianità”, ovvero che tutti i cambiamenti avvenuti nell’isola più volte nel corso della storia hanno adattato il popolo siciliano ad altri “invasori”, ma non hanno mai modificato l’essenza e il carattere dei siciliani stessi. “Perché noi...siamo dei” dice “e non cambieremo mai”. Ecco il senso profondo delle frasi sia di Tancredi che del Principe: non solo siamo in presenza di un ennesimo mutamento senza contenuti, poiché i siciliani hanno la più totale incapacità di modificare sé stessi, un orgoglio che ha appunto qualcosa di “simile agli dei” ma è proprio in questa chiave che debbono leggersi tutte le spinte contrarie all’innovazione, ai cambiamenti, ma anche a tutti i i compromessi che nel film sono ben evidenziate dal “cavaliere” Sedara, e delle quali il Principe Fabrizio trova quella metafora dello sciacallo “il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di “fare” dice infine, e il fare di quel ieri, ma anche del nostro oggi è rappresentato dagli sciacalli, ovvero quelli che si buttano sul corpo di un’Italia ancora da spolpare, quelli appunto del “si cambia tutto per non cambiare niente” e che fa concludere amaramente la sua invettiva “…noi non facciamo più, abbiamo corso troppo, tanto tempo fa, oramai siamo stanchi, perché ….noi fummo i Gattopardi” da cui, come detto, il titolo del romanzo e poi del film. Dietro a valle c'è un cimitero....già come Freud, facciamo ritorno alla 1^ guerra mondiale, che dilata a livello se non mondiale, perlomeno europeo, l'istanza suicida (come altro la vuoi definire la corsa verso la distruzione di un mondo che era forse il più bello, il quasi più perfetto dell'intera storia dell'umanità, per andare a ficcarsi diritti diritti nelle spire di un Lenin, di uno Stalin, di un Hitler di un Mussolini?) Il futuro, lo vedi, non è mai stato quello di una volta, anche allora, cent'anni fa, stava perpetrando le sue malefatte. D'accordo alla fin fine quelle aberranti malefatte sono state debellate, ma proprio sicuri che di tanto in tanto non rifacciano capolino? certo con altre vesti, forse meno truculente, ma sempre perniciose! io le chiamo "consumismo" e si! anche "comunismo" perchè nessuno mi toglie dalla testa che "la via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni", le chiamo iper-tecnologia, le chiamo "mentalità bottegaia", le chiamo "pubblicità ossessiva" che ti tormenta da mattina a sera, le chiamo "buonismo di maniera e ipocrita" "vietato parlar male di..." e per restare qui da noi in Italia, ce ne abbiamo avuti, eccome, di solerti Don Chisciotte che non si sono limitati ad andare contro i mulini a vento e la loro Dulcinea l'hanno bella che raggiunta, tra-vestita da corruzione e tracotanza. Lo vedi torna sempre quella frase del Principe di Salina ne Il Gattopardo "noi fummo i gattopardi, ora è l'epoca degli sciacalli" Oh cavolo! e diceva cosi' nel 1861, pensa se dovesse passare in rassegna oggi i personaggi della politica?



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